Sud. Che parola perfetta. Come si allunga la u, introdotta da quel sibilo, e come si stoppa nella d, con una mandata di chiavi di ferro, spesse e lunghe, nella serratura grande e generosa, che riecheggia un poco nei locali su cui abbiamo chiuso il portone. Uscire di città verso sud. Varie possibilità. Abbandonare l’inesplicabile complesso della cosiddetta Italia ’61? E allora vedere edifici disancorati dalle forme immotivate, tronconi di cemento, laghetti sbalorditi, sovrappassi pedonali verso zone verdi, svincoletti che portano in costruzioni che non conosciamo, dove gente che non immaginiamo studia e fa cose che non sappiamo. Poi nuovi cementi bombati crescono e ospiteranno quello che potranno ospitare, attività o uffici, ma non importa, perché noi non sappiamo come si possa fermare l’automobile e scendere, in questo preciso punto. Quindi continueremo a vedere e a non toccare.

Un macchinoso condominio che prende un largo isolato, piastrellato, con percorrimenti a portico moderno rialzati rispetto al suolo stradale, e corpi abitativi che si fronteggiano nell’aria, pur nascendo dallo stesso ceppo: questo è il segnale di uscita metropolitana, anche se il confine è già alle spalle. E tutti i folli frequentatori della Torino-Savona conoscono l’insegna dell’hotel a pelo di svincolo in curva, tutti avremmo voluto sdoppiarci e misticamente osservarci da quella stanza affacciata sull’asfalto mentre guidavamo verso il mare.
Prima di raggiungere le Alpi Marittime, quel tratto è veramente meridione. Più della regione che scende in mare, più del mare, più delle isole, dell’Africa e dell’Antartide. Perché è il nostro meridione, e nord sud est ovest sono, infatti, molto più concetti polarizzati che si alternano indefinitamente che punti assoluti. Ma come è lontano questo ghiaccio antartico! Così lontano come un notaio dall’eticità, come un costruttore edile dall’onestà. Persino più lontano — e sappiamo anche perché, almeno rispetto al ghiaccio gemello, che sta nei misteriosi settentrioni. È che per guadagnare questo gelo del sud si deve passare dal caldo rovente, mentre per quello del nord no. Questo caldo, che formi a modo suo un ulteriore confine da superare? E che tipo di linea sarebbe, così larga e spessa e forse più larga e spessa che non lunga e sottile? Che cosa ne sappiamo noi veramente di quello che sta oltre certi spazi?
(“I confini di Torino” sono stati scritti per il supplemento settimanale Torinosette della Stampa, uno alla settimana. Poi i testi sono stati raccolti in volume dall’editore Quiritta [Roma, 2003], con l’aggiunta di un commento in corsivo a ciascun pezzo. Ora sono corredati con fotografie dei luoghi in questione scattate dopo vent’anni dall’autore dei testi).

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