Rivista di luoghi, storie e altro

I confini di Torino / 28

Per andare a Revigliasco si sale e poi si scende, segno che si supera un culmine: quando la vista si apre tutta la pianura sembra presentarsi rubando la scena alle catene alpine che invece comandano il paesaggio da quest’altra parte, messe laggiù a urlarci contro tutta la loro geologica furia.

Risalendo e ridiscendendo si passa in certi tratti dove la vegetazione ai lati della strada quasi si chiude in alto come un tetto. Sono passaggi in gallerie verdi spesso anche molto buie che suggeriscono una vita vegetale in continua crescita, in rigoglio prepotente che preme fuoriuscendo fiorendo e fogliando. Si avverte la pressione. Come assediati e quasi intrappolati passiamo tra le pareti di foglie e di rami e di rampicanti nelle quali di tanto in tanto si aprono nicchie segrete, porticine o cancelletti di qualche villa invisibile. Nelle ville invisibili e bellissime vivono persone che sono calate quasi a forza in questa densità silenziosa e compatta, forse aprendo un paio di finestre sentono stormire qualche fronda, ma è solo l’acquazzone che può davvero far suonare l’ambiente in modo per noi comprensibile, in quanto ragione conosciuta.

Qui, tra il fitto fogliame carrolliano, non potrebbe sorprenderci nessuna apparizione balzana. Il punto è se nelle parti di collina non occupate da proprietà private sia possibile per qualche bestia selvatica trovare di che vivere. Se cioè la collina sia da considerarsi un ambiente che potrebbe accogliere certi mammiferi, diciamo: la volpe. Potrebbero apparirci le volpi sulla strada mentre saliamo e poi scendiamo? Mentre cambiando marcia sterziamo e lampeggiamo per capire la curva e le ruote frusciano sull’asfalto ancora bagnato di pioggia?

Foto © Dario Voltolini

Animali fantastici li diamo per scontati. Uova parlanti, sorrisi di gatti, carte da gioco semoventi, tutto ciò in abbondanza, ci mancherebbe. Ma la volpe? Con tutta quella coda e quel muso a punta? Immaginiamo la volpe seminare i segugi risalendo alcuni tratti con le zampe nell’acqua dei ruscelli, indoviniamo i suoi passaggi da qualche arruffamento della scena, supponiamo che si cibi di piccoli roditori e così via. Ci viene in mente un enigmatico racconto splendido di Borís Pil’njak, il Racconto sul come scrivere i racconti: “La volpe è il dio dell’astuzia e del tradimento: se lo spirito della volpe s’insinua in un uomo, la razza di quest’uomo è maledetta. La volpe è il dio degli scrittori!”

A sud e a nord, a oriente e a occidente, dovunque per centinaia di verste si stendevano boschi e paludi muschiose. Si ergevano pini e cedri bruni. Sotto di essi vegetavano macchie impenetrabili di abeti, di ontani, di viscioli, di ginepri e di betulle nane. Nelle piccole radure fra i cespugli e nei giacimenti di torba nascosti da mortelle e canneti, c’erano nel muschio i pozzi a fondo perso, insidiosi, d’acqua rossastra.

In settembre cominciavano i geli: quindici gradi sotto zero. La neve era compatta e azzurra. La luce non durava che tre ore, e dopo sempre notte… Il cielo sembrava pesante e si curvava basso sulla terra. Sempre silenzio… solo in settembre gridavano gli alci, a dicembre ululavano i lupi, e poi sempre il silenzio, quale può regnare soltanto in un deserto.

Sulla collina, presso il fiume, c’era un villaggio. Il pendio di rocce nude di granito rossiccio e di schisto bianco, corrose dall’acqua e dai venti, declinava sino al fiume. Stavano ferme sulla sponda poche barche tozze e scure. Il fiume era grande, tenebroso, freddo, sommosso da onde spumose nero-azzurrastre […] (Borís Pil’njak, Un anno della loro vita)

(“I confini di Torino” sono stati scritti per il supplemento settimanale Torinosette della Stampa, uno alla settimana. Poi i testi sono stati raccolti in volume dall’editore Quiritta [Roma, 2003], con l’aggiunta di un commento in corsivo a ciascun pezzo. Ora sono corredati con fotografie dei luoghi in questione scattate dopo vent’anni dall’autore dei testi).

Condividi