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I confini di Torino / Est

Che sia di aggiramento o di scavalcamento l’abbandono della città in questa direzione implica un primo faccia a faccia con la collina, ripiegamento appenninico corrugato per compressione con il sistema alpino. Oltre il confine, verso il Mar Nero, il Mar Caspio, la Mongolia, c’è la pianura del Po fino all’Adriatico, con quelle due autostrade che passano una per Milano e una per Piacenza, dove soprattutto la seconda è un mettersi tranquilli a viaggiare indovinando sorgere in lontananza qualche misterioso rilievo appena accennato, che sembra un miraggio dovuto all’immobilità dell’orizzonte. E solo giunti a Piacenza si vede al bordo dell’autostrada uno stabilimento di religione industriale fatto di cannoni verso il cielo e di finestroni arcuati da cattedrale. Poco lontano il nodo ferroviario dove si deraglia e ci si tampona fra treni profuma di ferro.

Ma qui, nella collina, salire e scendere fanno del confine comunale una linea immaginaria che si oltrepassa con noncuranza, come dovrebbero essere tutti i confini seri, quelli tracciati cioè da noi. Tuttavia le due visuali che si aprono verso le Alpi di qua e verso la pianura di là sono radicalmente diverse, e chiunque proceda con un minimo di attenzione per le cose che si vedono viaggiando non può non rendersene conto, perché prende proprio all’addome – come una sbarra orizzontale in cui ci s’imbatta.

Foto © Dario Voltolini

Questi sono i confini dell’imponderabile andare: la direzione implica distanze sovrumane, civiltà rarefatte mescolate a ricordi letterari, Asia, Pacifico, immagini senza odore, senza una vera cognizione di climi e temperature. È la direzione senza limite, quella che attraversa confini finissimi che si sbriciolano con il vento e che si riformano all’istante, grazie a un incremento di follia, o di razzia, a uno sconvolgimento di civiltà che tuttavia immaginiamo statiche e senza tempo, dal fondo oscuro della nostra ignoranza. Sono gli autogrill sotto il sole. I parcheggi accanto al bar. La goccia di benzina verde che immediatamente evapora sulla carrozzeria. Quando il temporale prende, allora tutto si confonde, perché un confine ortogonale (quello fra la terra e l’aria) è trapassato dall’acqua. Un fagiano, un giorno, ha attraversato l’autostrada al volo e si è fermato atterrando con un certo peso.

(“I confini di Torino” sono stati scritti per il supplemento settimanale Torinosette della Stampa, uno alla settimana. Poi i testi sono stati raccolti in volume dall’editore Quiritta [Roma, 2003], con l’aggiunta di un commento in corsivo a ciascun pezzo. Ora sono corredati con fotografie dei luoghi in questione scattate dopo vent’anni dall’autore dei testi).

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