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I confini di Torino / Ovest

Prima di stravagare per Francia e Oceano Atlantico e Grandi Laghi e Oregon farei tappa a Leumann, perché è troppo un bel posticino. Torino è da poco alle spalle, il castello sta là dritto davanti a noi, poi oltre c’è in effetti tutto quanto, ma invece stiamo un momento qui. Gnomi? Fate? Sette(cento) nani? Che popolazione accetta questo microambiente che se ne sta in questa sua tenera bolla, con la chiesa e i vialetti e le finestrelle e persino quei tetti che non hanno precedenti né successori nei dintorni? Certamente una popolazione operosa, ma questo non dice niente: tutte le popolazioni qui dalle nostre parti sono operose, non è vero? Allora è una questione di tempo. C’è un rallentamento locale nel trascorrere del tempo, una zona di secche in cui la corrente trova ostacolo. E quest’area rallentata è appunto Leumann. No, non ha senso. Dev’essere la concezione urbanistica e architettonica a darci la chiave per l’interpretazione. Ma qual è?

Foto © Dario Voltolini

Potrebbe al contrario accadere questo: niente spiega certi luoghi, nemmeno la finzione profonda del genio del posto, dello spirito che abita la zona. Ci sono persone, e queste persone passano nei luoghi, e passando nei luoghi pensano e osservano, oppure distrattamente se ne vanno, o – schiacciate da pesi insostenibili – vagano cercando soluzioni inesistenti di problemi non più evitabili. Vanno e passano, forse guardano, vedono, ascoltano. Oppure tirano dritto, chi se ne frega, un posto vale l’altro (vero), o invece annusano, si spostano per raggiungere certe angolazioni, rallentano per seguire un’ideuzza, qualcosa che gli è venuto in mente lì per lì: nessun posto è uguale all’altro (vero). Ci sono persone e ci sono luoghi. I luoghi vedono passare le persone e se ne fanno un’idea, le persone passano nei luoghi e sentono che il luogo sta facendosi un’idea di loro. E a seconda dell’idea che il luogo si sta facendo di te, tu consideri quel luogo – da adesso in poi – come amico o nemico, ampio o ristretto (di vedute!), elastico o dogmatico. E ripasserai di lì, per modificare l’idea che il luogo si è fatto di te. Spera, allora, che i tuoi simili abbiano evitato di distruggere quel luogo, di distruggerlo per far posto a qualcosa che ci giudica secondo schiavitù: un luogo servo nostro. Spera che certi luoghi continuino a starsene lì dove è giusto che siano, e necessario. Che resti salva la loro autonomia di giudizio.

(“I confini di Torino” sono stati scritti per il supplemento settimanale Torinosette della Stampa, uno alla settimana. Poi i testi sono stati raccolti in volume dall’editore Quiritta [Roma, 2003], con l’aggiunta di un commento in corsivo a ciascun pezzo. Ora sono corredati con fotografie dei luoghi in questione scattate dopo vent’anni dall’autore dei testi).

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