Vagavo in bicicletta alla ricerca di quella enclave torinese in territorio di Settimo, l’isola amministrativa segnalata dalla cartina, una bolla fatta di confini, da non perdere. Dalla Barca salivo verso le strutture da paese dei balocchi di Panorama, passando un confine già passato e tenendo il più possibile la destra a causa delle tonnellate di materiale semovente che percorrono la strada. Ho visto a un certo punto dietro di me un cartello che indicava la mia città come cominciante lì: da quella parte stavo provenendo. Eppure prima avevo bucato il territorio di Torino e ne ero uscito. Ora ne stavo riuscendo. Dunque ero passato dentro la bolla, sebbene inconsapevolmente.
Ho preso una strada che si diramava a destra, lievemente in salita per il primo tratto. Correva lungo un muro, da una parte, e si apriva a costruzioni commerciali e industriali dall’altra. Pedalando rasente il muro veniva in mente Bradbury. Poi la strada mescolava le sue carte: c’erano la campagna e la periferia urbana, l’asfalto e la terra battuta, gli orti e le benne meccanico metalliche, i muri decrepiti di vecchie costruzioni in mattone marcio e bello che racchiudevano e chiudevano alla vista nuove palazzine disegnate con cura e sprofondate nella quiete di quei posti che vengono chiamati “a pochi minuti dalla città”. C’era una macchina posteggiata senza badarci all’ombra di un alberone. I due amanti discorrevano. Finestrini giù, portelloni spalancati per il caldo. Rane gracidavano dentro il magro corso d’acqua, che però finiva per inoltrarsi in uno scuro corridoio vegetale dentro proprietà private, verdeggiando cupamente e con una certa importanza, come se stesse dando origine a uno di quei luoghi di campagna fitti di personalità.
La strada sbatteva poi nel terrapieno di qualche raccordo o svincolo, all’altezza di case bianche e linde estremamente ritoccate e manutenute, con cani latranti e impazziti. Poi un cartello diceva “Paradiso”. Un casolare quasi interamente ricoperto di rampicanti mostrava a tratti una facciata candida. Sull’altro lato della via costruivano. La mescolanza di Torino, Settimo e San Mauro è vegliata dall’alto dalla sagoma della basilica di Superga ritagliata sulla sommità della collina, un profilo che sarebbe per tutti amico, in tutte le città, in tutte le occasioni in cui capitasse di vederlo, mentre per noi è quantomeno anche un segno tragico.
Una visione di insegna su cui sta scritto Paradiso la si trova in Ionesco e prelude a mostruosità.
(“I confini di Torino” sono stati scritti per il supplemento settimanale Torinosette della Stampa, uno alla settimana. Poi i testi sono stati raccolti in volume dall’editore Quiritta [Roma, 2003], con l’aggiunta di un commento in corsivo a ciascun pezzo. Ora sono corredati con fotografie dei luoghi in questione scattate dopo vent’anni dall’autore dei testi).