Rivista di luoghi, storie e altro

I confini di Torino / 25

Quando si entra in città percorrendo il raccordo per Caselle, sul quale si innesta la tangenziale, si incontra a un certo punto il cartello “Torino” e quindi lì si oltrepassa un confine, che tuttavia non corrisponde a un confine reale, poiché non si colloca assolutamente sulla linea di separazione tra due territori comunali, ma piuttosto segnala in un luogo convenzionale che si è entrati in città. Questo dipende probabilmente dalla natura dei raccordi e delle tangenziali. Né i primi, né le seconde sono infatti veri e propri luoghi appartenenti a territori. Siccome i territori li collegano, li trapassano, li emulsionano alla corte del trasporto su gomma, raccordi e tangenziali segnalano confini virtuali che non corrispondono alla realtà, ma solo al viaggio. Se non per un guasto, chi potrebbe trovarsi a bighellonare sul raccordo attento ai cambiamenti che un confine comporta? Nessuno. Si va, si supera, si bada a non tamponare: quando giunge la scritta “Torino” si pensa “Ah”. Non molto di più. Questi pseudoconfini sono segnalati da cartelli memotac, da appunti messi lì appesi al muro, per ricordarsi a grandi linee delle cose, mica per segnalare con approssimazione massima la realtà delle cose (burocratica il più delle volte, e allora?).

Quando è buio le luci dell’impianto industriale sono una costellazione intera che è scesa in terra dal cielo profondo, si è impigliata in qualche spigolone invisibile e adesso galleggia fremendo tra fumi e serbatoi, pinnacoli e gasometri, montagne gialle. Per una curva la prospettiva infila interi corridoi del palazzo deserto, corridoi illuminati e spogli, intravisti da finestre rettangolari svuotate come orbite di teschi. Si è oltrepassato un corso d’acqua. Si procede lungo una ferrovia.

Foto © Dario Voltolini

Può capitare che il parabrezza incorni il pallone che cade da oltre una rete più sopra. Il campo è cinto, ma i rinvii dei difensori non si formalizzano di certo. Se il pallone cade sul raccordo, e il parabrezza lo colpisce al volo, può fare decine di metri.

Ai ragazzi bisognerebbe che fosse possibile a rotazione abitare per lunghi periodi dove gli garba. Anche in cima a un silo sulle rotaie, anche in una via cieca che sbatte contro un capannone. Penzolanti lampadine sui tavoli in cucine dalla parte del cortile. Poi via, uscire dall’adolescenza e dai tuguri, via, all’aperto, di corsa, respirando, via libera. Come per un’usanza.

Qui siamo passati infinite volte Enzo ed io, per raggiungere le valli del Canavese. Enzo si fermava a Rivarolo, io proseguivo fino a Valperga. Siccome in Torino c’è una via Valperga Caluso, molti credono che il comune di Valperga si chiami per esteso Valperga Caluso. Non è così. Caluso è un comune per conto suo, lontano da Valperga. Il nome Valperga Caluso è quello di una famiglia, non di un luogo. Valperga si chiama tutt’al più Valperga Canavese. Certo fui molto sorpreso quando vidi recapitare al comune di Valperga una corrispondenza proveniente dalla Regione Piemonte che la indirizzava a: Comune di Valperga Caluso. Che cosa ci facevo io lì? La Forza Assente.

(“I confini di Torino” sono stati scritti per il supplemento settimanale Torinosette della Stampa, uno alla settimana. Poi i testi sono stati raccolti in volume dall’editore Quiritta [Roma, 2003], con l’aggiunta di un commento in corsivo a ciascun pezzo. Ora sono corredati con fotografie dei luoghi in questione scattate dopo vent’anni dall’autore dei testi).

Condividi