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I confini di Torino / 24

È finito il tempo degli erti candelabri ippocastani e dei glicini pietrificati come istantanee dalla festa dei fuochi sull’acqua. In fondo alla strada senza uscita c’è un’autorimessa con portone blu. Lo steccato che delimita la zona ferroviaria è invaso da roseti in fiore, mentre un’altra linea di siepi, iris violacee, più bassa corre parallela. Groviglio di strade e rotonde fra Torino e Grugliasco e Collegno: la pioggia grigiastra evidenzia improvvisi geometrici prati perduti in mezzo ai fabbricati. L’arco residuale fatto di mattoni sorge senza preavviso, obbligato in un contesto che non può essere il suo, un contesto successivo: non è mai possibile costruirlo in modo adeguato, non dopo: il contesto o viene insieme o viene prima.

L’auto della Scuola Guida procede lentamente, deve essere una delle prime lezioni. Infila un rettilineo che si perde in un largo parcheggio asfaltato. Giunta in fondo, prova la manovra per tornare indietro, le segnalazioni luminose, la retromarcia, il gioco della frizione. Ora l’auto è ferma di traverso, ma nessuno passa in questa strada, solo gli abitanti del lungo condominio che hanno orari diversi dalla Scuola Guida. L’auto indugia. Piove. Solo le spazzole si muovono, strisciando sul parabrezza. C’è animazione poco lontano: negozi, bar, gente. La psiche del quartiere dondola sulle strade come uno straccio di canapa fradicia grezza. Ci sono strade che sfiorano altre strade, ma per passare dalle une alle altre bisogna andarsi a guadagnare una rotonda chissà dove.

Foto © Dario Voltolini

E nei gomiti delle vie che non passano il confine, perché piegano e si intrecciano come a schivarlo, intravedo una villa lontana, una facciata patrizia, posta a una distanza che suggerisce un parco in mezzo, ma girando e rigirando, svoltando e ipotizzando cateti e ipotenuse, finisce che la perdo: non riesco a trovare il varco per avvicinarmi. È forse in quella villa che mi hai detto di aver passato un periodo della tua giovinezza, nella villa dell’amico (quella?), dicendomi delle ampie sale fredde spoglie e incolori? Sotto la pensilina di cemento di un ingresso condominiale un ragazzo e una ragazza si riparano dalla pioggia e se ne stanno mutuamente abbarbicati producendo, immagino, calore. Mi dicevi di quelle stanze vuote. Poi abbiamo discusso e parlato della guerra. Mi sono perduto nel mio personale naufragio di ignoranza dei fatti e di infanzia dei valori.

Per quanto poco tempo sia in verità passato, con orrore vedo che di guerre invece ne sono scoccate numerose. Come se fossimo in un tempo con più guerre che anni. Recentemente abbiamo letto e scritto di guerre mutanti, che si sono ibridate con altre forme violente dando luogo a conflitti privi del parametro dei confini. Ma d’altra parte, un confine cos’è? Anche quando è solo una decisione, una linea virtuale applicata su fogli di carta, oppure è muri e ferri spinati applicati sul terreno, un confine presuppone un piano comune su cui riposino i confinanti.

(“I confini di Torino” sono stati scritti per il supplemento settimanale Torinosette della Stampa, uno alla settimana. Poi i testi sono stati raccolti in volume dall’editore Quiritta [Roma, 2003], con l’aggiunta di un commento in corsivo a ciascun pezzo. Ora sono corredati con fotografie dei luoghi in questione scattate dopo vent’anni dall’autore dei testi).

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