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I confini di Torino / 21

Verso Mongreno lambendo e forse travalicando talvolta il confine con Pino, scollinando o percorrendo la cresta, si aprono angoli e giri alla vista che la vegetazione un poco nasconde, un poco evidenzia. La collina non è una cosa semplice. Quando si prende una di quelle strade che vanno strette lungo un muro e si immagina a tutto spiano che cosa contenga quel muro, che tipo di vita racchiuda la costruzione a sua volta contenuta all’interno del muro, che storie possibili permetta, quali invece escluda o, meglio, rintuzzi (poiché niente esclude mai veramente nessuna storia), il muro aspetta calmo che la nostra immaginazione faccia i suoi lapilli, poi richiama lui l’attenzione, fatto com’è di pietre grigiometallo e strati di mattoni che fanno elegantissime strisce per lungo, sottili linee rossastre molto distanziate, tolgono chissà come pesantezza a quelle pietre, ma non forza, non staticità massiccia: il muro si fa notare, e è un bellissimo muro. Ma finisce come troncato – in realtà svolta al proprio angolo proseguendo inoltrandosi fra i vegetali – e appare la macchinosità metallica di un possente traliccio, così vicino da poterlo quasi toccare allungando il braccio fuori dal finestrino dell’auto (ma l’istinto è più quello di starsene ben dentro l’abitacolo). Il fascino dei tralicci è indubbio e così pure la loro terribilità formidabile. Sono marchingegni privi di volto, non si riesce mai a indovinare ciò che pensano. Sul traliccio ci sono a pendere quelle targhette con il teschio. Pericolo. Di morte.

Foto © Dario Voltolini

Scendendo verso Reaglie, a un gomito stretto della strada rallentando, bisogna far caso a una creatura che vive in un gran bel cortile. Non c’è traffico, non c’è via vai, tuttavia un mezzo che sale mentre noi scendiamo può sempre capitare. Bene, mentre incrociamo l’altro automezzo, la creatura del cortile potrebbe passare inosservata, gabbarci. Sarebbe un peccato. È un ippocastano di stupefacente presenza vitale, magnifico e perfetto nei contorni e nei volumi, proteso con sicurezza nelle pieghe dell’aria, così arioso pure lui, così verdissimamente polmonare. Occupa tutta la scena, una volta che lo si è notato. Tutta la scena collinare e architettonica dei dintorni, tutta la dimensione anche verticale dovuta al saliscendere, tutta l’apertura celeste. Ci sono, lo sappiamo, quelle figure immobili che sembrano tuttavia dilatarsi, e questo albero è il loro principe.

Ai piedi della massicciata della ferrovia sotto gli ippocastani andavamo a raccoglierne i frutti lisci e lucidi, con quel culo chiaro e ruvido. Ci si può specchiare, nelle più grosse di queste noncastagne. La ferrovia passa nelle città con una carica che non ha nelle tratte di campagna. Il treno fra le case è una presenza che non è paragonabile a nessun’altra. E le case sulla ferrovia sono case che non hanno rivali quando si mettono d’impegno a sedurre la mente con quelle atmosfere che sono fatte di malinconia e ribellione.

(“I confini di Torino” sono stati scritti per il supplemento settimanale Torinosette della Stampa, uno alla settimana. Poi i testi sono stati raccolti in volume dall’editore Quiritta [Roma, 2003], con l’aggiunta di un commento in corsivo a ciascun pezzo. Ora sono corredati con fotografie dei luoghi in questione scattate dopo vent’anni dall’autore dei testi).

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