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I confini di Torino / 18

Lungo la strada dell’Aeroporto, nei pressi del confine fra Torino e Borgaro, al numero 435 c’è un cancello metallico che scorre su una rotaia. Il cancello è fatto come un’unica lastra rettangolare gialla bordata di blu. Sui muri esterni della costruzione in cui il portale scorrevole colorato con i colori istituzionali di Torino immette, sono infissi proprio quei cocci aguzzi di bottiglia che potevano essere pensati come ormai desueti nella cosiddetta epoca delle nuove tecnologie, un rappresentante delle quali peraltro occhieggia elettronico a guardia dell’ingresso, e che invece continuano come sempre a seguitare la muraglia: verdi, chiari, irti, novecenteschi.

La strada del Francese giunge qui dopo una serie di circonvoluzioni serpentesche fra zone industriali, zone di residua campagna, retroscena di distributori raggiungibili solo dalla tangenziale, sistemi di alloggi in costruzione e nuclei edificati di meno recente nascita. Gli aerei in atterraggio sorvolano la zona perdendo quota e offrono i ventri distintamente all’osservazione. Il loro volo sembra rallentato, come frenato, non rende l’idea del precipitare a terra. Anche aerei di medie dimensioni, così volando, hanno qualcosa di maestoso, comunque di nobilmente dignitoso. Alitalia, si legge sotto le ali: ne passano tre, quattro, ancora uno mentre si abbandona la zona.

Foto © Dario Voltolini

Un albero è in fiore, è primavera. Il legno nero chiuso nella schiuma bianca. Una via che si chiama Carolina porta verso l’ingresso del parco Chico Mendez. Un signore con tre cani sta risalendo in macchina per andarsene. Dice che il parco è notevole, è un parco fluviale. La miseria di alcuni teppisti dementi ha danneggiato le strutture. Faranno qui un bar. Zone di fitta vegetazione chiedono di essere percorse a piedi, in bici, lentamente.

Fitta vegetazione scura, sparsi fiocchi bianchi. Un binario segna il territorio disegnato sulla piantina all’ingresso del parco: va detto che nessun ingresso a un parco somiglia meno a un ingresso di parco di questo ingresso del Chico Mendez con il suo cancello provvisorio e pendulo, con il suo parcheggio in stile cantiere, con la strada che finisce miscelandosi al suolo. Il signore gentile ama questo parco e ha ragione lui. Anche i tre cani sono gentili. Uno ha il pelo nero morbido e lucido. Guarda fisso negli occhi e serra in bocca un bastone di legno tutto insalivato e roso dai morsi della presa.

A Chico Mendez lo mataron.
Era un defensor y un ángel
de toda la Amazonia.

El murió a sangre fría,
lo sabía Collor de Melo
y también la policía.

[…]

El dejó dos lindos crios,
una esposa valerosa,
y una selva en agonía.

(Maná, Cuando los ángeles lloran)

(“I confini di Torino” sono stati scritti per il supplemento settimanale Torinosette della Stampa, uno alla settimana. Poi i testi sono stati raccolti in volume dall’editore Quiritta [Roma, 2003], con l’aggiunta di un commento in corsivo a ciascun pezzo. Ora sono corredati con fotografie dei luoghi in questione scattate dopo vent’anni dall’autore dei testi).

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