Un giorno capiterà che via Artom anziché finire nei pressi di quelle due coppe del reggiseno di cemento esposto al cielo continuerà con una specie di salto in lungo a scavalcare lo screpolato corso del Sangone finendo planando in territorio di Nichelino, dove l’asfalto si ricongiungerà al suolo con poca pena per gli ammortizzatori e le balestre. Oggi il ponte è costruito, ma blocchi di sbarramento impediscono l’accesso alle automobili, mentre invece tranquilli pedalano i ciclisti e ronzanti spetazzano i motorini. Soprattutto ci sono gruppi di persone a piedi che camminano a passeggio sul ponte discorrendo senza fretta, così, forse soprattutto per fare quattro passi, non necessariamente per raggiungere un posto preciso dall’altra parte. Ci sono baraccamenti e orti sfrangiati nei pressi delle rive, poi anche basse costruzioni tipo officina, quelle con certi cortili interni ingombri di rottami e accessori. Passando sul ponte si colgono con lo sguardo dall’alto e così scompare il senso di labirinto che accompagna tutte le diramazioni delle vie laterali che conducono in questi posti, senso labirintico che ci coglie quando quelle stradine noi le percorriamo. Ma dall’alto è un’altra situazione. Si sentono molto più distintamente invece i latrati dei cani, amplificati dai muri e sparati nell’aria in alto: e anche certi gridi di bambini chissà dove lontani arrivano nitidi lucidi sul ponte. Curiosamente i passeggiatori sul ponte tengono i bordi, come se fosse trafficato. Forse è per poter vedere meglio le cose di sotto sporgendosi. Ma naturalmente la possibilità di camminare in mezzo alla strada non si presenterà mai più quando passeranno le automobili. Forse solamente in caso di qualche lavoro di manutenzione. Quando passeranno le automobili il ponte subirà una sorta di omologazione e cesserà di avere quest’aria sospesa che gli si confà così pertinentemente. Qualcuno, ecco, attraversa più di una volta da un bordo all’altro, magari è in questo modo che si sfrutta l’assenza di traffico (le moto sono molto rare e fanno attenzione). Visto da qualche distanza, il ponte con quelle persone che anche a due a due camminano tranquillamente, e ogni gruppetto sembra quasi che si goda una certa lontananza dagli altri, visto per esempio dall’estremità di via Artom il ponte con la gente a piedi sembra produrre una musica sorprendentemente simile alla Lux aeterna di Nadia Boulanger.
Quel giorno in effetti è arrivato, e Nadia Boulanger se ne è volata via. Potremmo sostituirla con George Antheil: (Little) Shimmy. Mi viene in mente l’assurdo pensiero che io qui non ci sono mai venuto d’estate. In compenso Carmelo Bene fece le sue letture dantesche esattamente sotto quel reggiseno. L’unica altra volta in cui vidi Bene dal vivo fu a Milano: leggeva i nostri poeti e faceva veramente paura con le sue voci. “Paura” qui va intesa come nell’espressione “Van Basten è un campione che fa paura”. Qualcosa di più della bravura e delle stima che la bravura induce in chi ne è testimone.
(“I confini di Torino” sono stati scritti per il supplemento settimanale Torinosette della Stampa, uno alla settimana. Poi i testi sono stati raccolti in volume dall’editore Quiritta [Roma, 2003], con l’aggiunta di un commento in corsivo a ciascun pezzo. Ora sono corredati con fotografie dei luoghi in questione scattate dopo vent’anni dall’autore dei testi).