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I confini di Torino / 16

La strada del Castello di Mirafiori ha una specie di doppio, riflesso nel corso del Sangone poco distante: qui il confine. Un fantasma, doppio anche lui, freme senza corpo, diroccato e scomparso, tranne che nello spazio un tempo occupato, suo per sempre: il Castello di Mirafiori. L’antica chiesa di Mirafiori se ne sta appartata, silenziosa più che può. Persino fresca, nel fresco della penombra. Camminando all’interno, ecco che una lapide posata sul pavimento reca un segno fatto di teschio e ossa lunghe incrociate, un segno ormai indistinguibile per noi da quello delle bandiere dei pirati divulgate da centinaia di cartoni e di fumetti e di disegni. Con una data.

La strada percorriamola avanti e indietro, avanti e indietro, molte volte. Questa parte di città, così erosa dal tempo (in tutti i sensi della parola) fa convivere fantasmi e giovani parchi, di quelli con gli alberi ancora sottili come nervi, che non riescono a fare ombra, quasi sperduti sul terreno rigato di piste ciclabili. In fondo si ergono le dure scogliere condominiali. Rosa Vercellana era nata a Nizza Marittima nel 1833, figlia di un militare di carriera. Quando nel 1847 chiede che suo fratello, arrestato per insubordinazione, venga liberato, il futuro Re d’Italia Vittorio Emanuele, nonostante Maria Adelaide, rimane colpito: amore?

Foto © Dario Voltolini

Un regio decreto conferisce a Rosa Vercellana, nel 1859, il titolo di Contessa di Mirafiori e Fontanafredda. Rosa muore nel 1885, ma non potrà riposare al Pantheon di Agrippa. E allora i figli glielo rifanno qui, un doppio del Pantheon. Un Pantheon fantasma. Provate a raggiungerlo: vi sfuggirà. Un mausoleo a pianta circolare diametro uguale altezza uguale sedici metri, rame sulla cupola. Scalinate. Nicchie per statue fantasma: spazi vuoti ma prenotati, oppure già abitati, un tempo. Colonne. Avanti e indietro per la strada del Castello di Mirafiori, una volta, due volte, tentando aggiramenti laterali e secondari, percorsi che si insinuano tra la strada e il Sangone e che non portano a niente. Vi sfuggirà.

La Contessa di Mirafiori e Fontanafredda è forse lo spirito più tenace fra quelli che ondeggiano sul luogo, lo era già da ragazza, per carattere. Avanti e indietro, cercando e ricercando, a volte intravedendo, ma vi sfuggirà. Nell’andirivieni vi abituerete alla chiesa, al parco giovane, al ragazzo con la faccia di Franz Kafka che cammina svelto e attraversa.

Dalla soglia de “La Crónica” Santiago guarda l’avenida Tacna, senza amore: automobili, edifici disuguali e scoloriti, scheletri di pubblicità luminosa che ondeggiano nella nebbia, il mezzogiorno grigio. In che momento era andato a farsi fottere il Perú? Gli strilloni sgattaiolano tra i veicoli trattenuti dal semaforo della calle Wilson, vociando i titoli del pomeriggio, e lui comincia a camminare, piano, verso la Colmena. Tiene le mani in tasca, la testa curva, cammina scortato da passanti che avanzano, anche loro, verso Plaza San Martín. Lui era come il Perú, Zavalita, in un certo momento si era fatto fottere. Pensa: in quale momento? Davanti all’Hotel Crillón un cane viene a lambirgli i piedi: e magari sei rabbioso, passa via. Il Perú fottuto, pensa, Carlitos fottuto, tutti fottuti. Pensa: non c’è soluzione. Scorge una lunga coda alla fermata dei taxi collettivi diretti a Miraflores… (Mario Vargas Llosa, Conversazione nella cattedrale)

(“I confini di Torino” sono stati scritti per il supplemento settimanale Torinosette della Stampa, uno alla settimana. Poi i testi sono stati raccolti in volume dall’editore Quiritta [Roma, 2003], con l’aggiunta di un commento in corsivo a ciascun pezzo. Ora sono corredati con fotografie dei luoghi in questione scattate dopo vent’anni dall’autore dei testi).

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