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I confini di Torino / 14

Sembra ancora più minuscolo il piccolo cimitero di Mirafiori così circondato dai vetri e dai cementi di recente elevazione che sorgono come fondali specchianti e ciechi oltre il perimetro del muretto che sembra ancora più decrepito visto nel confronto con quei muri appena fatti dagli spigoli netti come lame. Uscendo da Torino, prima del ponte sul Sangone, sulla destra, scendendo la riva del torrente, ci sono quelle mattonelle e piastrelle commerciabili, poi soprattutto fanno meraviglia quegli scafi di varia forma e dimensione appoggiati sull’erba o sul terriccio come tirati in secca sennonché di sicuro il Sangone non è poi così trafficato motonauticamente parlando. E fontanili, statue da giardino, vasche grigiastre di materiale granuloso e inerte in esposizione, mentre una segnaletica indica il passaggio di un metanodotto e in parte spiega quella stramba costruzione che c’è là. Certo il metanodotto sarà una specie di condotto: in questo caso ecco che lo immaginiamo passare proprio sotto il torrente, che fa anche da confine tra Torino e Nichelino.

Foto © Dario Voltolini

Dal ponte si guarda il torrente verso monte e si vedono brillare argentei pescetti sott’acqua colpiti dalla luce del sole. Si guarda il torrente verso valle e si vede una rampa di cemento ripida lungo la quale l’acqua scorre accelerando fino a perdersi scendendo fra i massi dislocati. Il parco Piemonte apre le sue radure tra i palazzi. Il campo nomadi se ne sta discosto, discretamente. Nei pressi del confine c’è un cippo con quattro nomi e una data: Cravero Giuseppe, Cravero Marco, Davicino Lorenzo, Gallo Giovanni; 8-7-1944. Due prostitute in abiti scuri e un ragazzo che assomiglia a Franz Kafka stanno per appartarsi scendendo verso il torrente lungo la riva scoscesa, una delle due donne scenderà con il ragazzo, l’altra starà di guardia: e proprio lei, prendendo posizione, mi domanda se sto lavorando, e io rispondo di sì, e siamo due mestieri diversi a confronto, non so quale dei due sia il più antico. Passato il ponte e dipanata la matassa degli incroci e delle rampe e delle deviazioni moltiplicate per il viale e il controviale, proseguendo verso Stupinigi si viaggia fra le ali dei poderi di mattone cupo e si punta verso il gioiello della Palazzina che se ne sta là in fondo a braccia aperte con il suo cervo in testa. Questa, di tutte quante le uscite possibili da Torino, è certamente la più bella, la più struggente.

Nei locali della Palazzina, che sono una specie di arredo per sogni da fare leggeri all’alba, quando la brezza entra dalla finestra aperta muovendo le tende e passando sulla pelle lasciata scoperta per un movimento che nella notte ha fatto scivolare sul cotto del pavimento il lenzuolo dai corpi degli amanti abbandonati a un respiro concorde dopo l’amore, vidi per l’ultima volta lo scrittore Franco Lucentini.

(“I confini di Torino” sono stati scritti per il supplemento settimanale Torinosette della Stampa, uno alla settimana. Poi i testi sono stati raccolti in volume dall’editore Quiritta [Roma, 2003], con l’aggiunta di un commento in corsivo a ciascun pezzo. Ora sono corredati con fotografie dei luoghi in questione scattate dopo vent’anni dall’autore dei testi).

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