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I confini di Torino / 9

Per corso Casale da Torino a San Mauro, fiume giù sulla sinistra: nel momento segnaletico del bilico di confine alcuni elementi si dispongono in composizione, piuttosto raccolti. Da un lato il dislivello della collina coperto di vegetali fissa a modo suo un limite, quantomeno alla vista. Dall’altra parte della strada si collocano un cancello, un traliccio, una pensilina e un’esposizione a cielo aperto di caminetti e materiali edilizi.

La pensilina ha l’aspetto di un oggetto desueto, abbandonato anziché demolito, lasciato al proprio posto anche se la sua funzione si è ormai esaurita. Esistono luoghi del genere. Certe case cantoniere, per esempio, lungo linee ferroviarie disattivate. O certi dazi verso i bordi delle città. Per non parlare dei distributori rinsecchiti che si screpolano giorno dopo giorno fra gli sterpi.

La pensilina è un blocco rettangolare sorretto da quattro pilastrini magri e metallici, indubbiamente robusti, visto che fanno da stecco a quella specie di ombrello. Lungo una delle quattro colonnine scarica una grondaia che raccoglie l’acqua piovana dalla superficie piatta del blocco rettangolare. La pensilina è come posata in un piccolo slargo. Ma il fatto è che la pensilina non è per niente abbandonata e l’autobus fa servizio, si ferma proprio lì, se la palina ha un senso.

Il traliccio lo si vede da sotto, da vicino. Così si ha uno scorcio sbalzato e la graticciata di metallo sembra sparata verso l’alto, già congelata. Qualcosa nel modo in cui è messo lo disloca da tutte le possibili linee parallele che potremmo tracciare unendo i punti salienti della scena.

Foto © Dario Voltolini

Invece i caminetti in esposizione, puliti, intatti, preparati, che sono, di tutti gli oggetti qui in composizione, probabilmente i più giovani e recenti, devono per lavoro rimandare ad antichi riti di focolare: calore che si propaga nelle stanze, oppure festa all’aperto con carni cotte al fuoco e verdure abbrustolite e tavolate con bicchieri, pane e bottiglie di vino. Nella durezza del loro materiale appena sfornato resisteranno al calore imbrunendosi, ma per ora stanno come giovani animali con le bocche un po’ stupite al passaggio delle auto.

Tutta la composizione di oggetti si dispone in palco teatrale, se appena si punta lo sguardo sulla città che se ne sta oltre, là, con le sue luci bianche e gialle ammassate oppure sgranate come perle in fila lungo viali e corsi rettilinei.

Da bambini ci avevano portati in visita fuori città a casa di un signore che raccontava le barzellette. Alla fine della barzelletta, si immobilizzava e faceva una faccia. La costruzione di quella faccia dipendeva dalla barzelletta: era il vero finale della barzelletta. Ricordo il giardino con forse il barbecue, con forse un pappagallo in casa, con imbarazzo totale per la faccia finale di barzelletta. Proprio non sapere dove girarsi.

(“I confini di Torino” sono stati scritti per il supplemento settimanale Torinosette della Stampa, uno alla settimana. Poi i testi sono stati raccolti in volume dall’editore Quiritta [Roma, 2003], con l’aggiunta di un commento in corsivo a ciascun pezzo. Ora sono corredati con fotografie dei luoghi in questione scattate dopo vent’anni dall’autore dei testi).

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