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I confini di Torino / 5

Ci sono strade che conducono in città che sono il modo migliore per entrare in quelle città, ma il fatto sorprendente è che non sempre quelle strade sono il modo migliore per uscire da quelle città. Pertanto, come è facile concludere, che una strada sia il modo migliore di entrare in una città non dipende dalla strada solamente, ma anche dal nostro senso di marcia, invertendo il quale, pur restando la strada identica, quello che era un percorso ottimo cessa di essere tale. Se poi si considera il caso in cui due città confinano e una strada da una città conduce all’altra, si può ovviamente notare che, se la strada è il modo migliore per entrare in una delle due città, ma non il modo migliore di uscirne, allora non è nemmeno il modo migliore di entrare nell’altra città, poiché uscire da una città per quella strada implica entrare nell’altra. E quindi è dimostrato che per essere il modo migliore di entrare in una città, la strada deve dipendere non solo da se stessa, e non solo dalla direzione in cui la percorriamo, ma anche dalla città in cui conduce. Lo stesso si può dire per le strade che sono il modo migliore di uscire da una città. Naturalmente può darsi il caso che una strada sia contemporaneamente il modo migliore sia per entrare, sia per uscire da una città. Ma, appunto, si tratta di un caso, non di una necessità. Lo stesso vale nella situazione di città che confinano. Una strada può essere il modo migliore per entrare in una delle due città e contemporaneamente il modo migliore per uscirne, senza che questo comporti che sia il modo migliore per entrare nell’altra o per uscirne. Naturalmente può darsi il caso che una strada sia contemporaneamente il modo migliore di entrare e di uscire da ciascuna delle due città confinanti. Ma, appunto, si tratta di un caso, alquanto raro per di più, e non di una necessità.

Corso Moncalieri è il modo migliore per entrare in Torino.

Foto © Dario Voltolini

Sulla destra partono strade che salgono sulla collina permettendo di osservare la città dall’alto, con le barriere impenetrabili delle Alpi sullo sfondo. Sulla sinistra invece partono segmenti percorribili persino più enigmatici di quelle altre strade che salgono. Il fatto è che queste si interrompono ai bordi di qualche proprietà e impediscono alla mente, che sa dell’esistenza del fiume, di andare a percepirlo.

Magnifica manifattura abbandonata con grande parco. Sentimento dello spreco.

Sono gli alberi che accompagnano il fiume a fare dell’ingresso in Torino lungo la sponda opposta a quella del Valentino qualcosa di unico. Spesso il ritorno in città è (o forse era: per noi spesso lo era), per i bambini al seguito dei genitori, in macchina, declinante la domenica, incombente il lunedì, fonte di angoscia. La città appariva dura, uno scoglio su cui pestare inutilmente i pugni. Solo questa sfilata di fronde, quell’acqua, ridavano alla città il suo senso progettuale, di possibilità da saggiare, da investigare. Cosa avremmo fatto in città! I giorni successivi apparivano prospettici, strutturati. Forse per sintonia con la teoria degli alberi e lo scorrere dell’acqua. Profondità, allusioni di lontananza.

(“I confini di Torino” sono stati scritti per il supplemento settimanale Torinosette della Stampa, uno alla settimana. Poi i testi sono stati raccolti in volume dall’editore Quiritta [Roma, 2003], con l’aggiunta di un commento in corsivo a ciascun pezzo. Ora sono corredati con fotografie dei luoghi in questione scattate dopo vent’anni dall’autore dei testi).

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