Siamo nella west coast della Sardegna centrale, nel Sinis: siamo a San Salvatore, un posto d’altri tempi. La gente lo conosce per la processione che il primo sabato di settembre porta la statua del Santo nella chiesa di San Salvatore. I fedeli, tutti uomini, indossano una tunica bianca e sono scalzi: sette chilometri di devozione sull’asfalto e sullo sterrato. E poi la riportano indietro, a Cabras, sempre di corsa, sempre coi piedi nudi che calpestano terra e ghiaia. La gente lo conosce per un passato da location di film western: cast che arrivavano “dal continente”, un saloon costruito su misura e la polvere ocra che non era mai un’invenzione di scena. Leggende infondate raccontano che Sergio Leone sia passato da queste parti, mentre voci più solide dicono che Tarantino concepì Kill Bill ispirandosi a uno spaghetti western girato proprio qui. La gente lo conosce per la sua posizione: di passaggio verso una spiaggia impraticabile ad agosto, indimenticabile ai bordi dell’estate, Is Arutas. Ma i chicchi di quarzo rosa e il mare celeste sbiadiscono se prima non si percorrono le strade non asfaltate del villaggio. Qui le case sono basse, si toccano l’una con l’altra e hanno muri colorati.
Poi c’è un altro San Salvatore. Quello che la gente non conosce. Per pochi. San Salvatore è dove arriva una processione intima, di sole donne. Anche loro scalze. E anche loro portano una statua del Santo, ma più piccola. Partono prima e rientrano dopo gli uomini. Sono l’inizio e la fine della festa. San Salvatore è dove la piazza accecante per il biancogesso di quel finto New Mexico si è poi trasformata nel sogno post-apocalittico di un duello surreale, tra cowboy col casco, il set del film La Leggenda di Kaspar Hauser. San Salvatore è dove nei pomeriggi bollenti, mentre i villeggianti occupano ogni millimetro di bagnasciuga, dalle porte semiaperte delle case dei pellegrini si intravedono lunghe tavolate apparecchiate, e si sentono ora voci di bambini e ora silenzio. La corsa degli scalzi e delle scalze. I film western antichi e moderni. L’anima dei turisti, e degli “abitanti”. San Salvatore, un posto d’altri tempi. O forse no.
Foto © Monica Porcu