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Le panchine di San Salvi

Cara, se pensi che abbia sofferto abbastanza sono pronto a darti quello che resta della mia vita. Vieni a vedermi, ti prego”. All’ultima lettera di Dino Campana, recapitata dal manicomio di San Salvi, Sibilla Aleramo non rispose. Eppure all’epoca la struttura era moderna e confortevole, teneva fede ai propositi del discorso inaugurale: dotare Firenze di un ospedale psichiatrico all’altezza. Dovesse giungervi oggi, Aleramo costeggerebbe un muretto e varcherebbe un cancello. Cedri e pini e melograni le farebbero ombra. Un viale la condurrebbe verso la sede dell’ASL. Alcune frecce le indicherebbero una scuola, laboratori medici, universitari, un ospizio. Gli edifici che allora erano signorili adesso sono ruderi. Su uno di questi, dietro transenne, calcinacci e fronde, sbiadisce un murales dei tempi di Basaglia. In compenso Aleramo nel padiglione dei “mansueti” troverebbe una compagnia teatrale. Anche quello dedicato alle “sudicie” ha cambiato destinazione. Ciononostante, a Firenze mandare qualcuno a San Salvi resta poco meno di un insulto. Sguarnite perciò restano le panchine, ancora più di quando qualcuno, come Campana, vi attendeva di essere visto. Le attese vane furono probabilmente tante, su quelle panchine, e chissà se suscitavano più scatti d’ira e apatie o frenesie e soliloqui. E se all’euforia di vedersi slacciare i polsi e aprire i cancelli non facesse seguito la vertigine di restare senza nemmeno un sedile su cui dare appuntamenti a vuoto. Le rose a lungo curate, forse sognando di poterne fare omaggio, furono a un certo punto abbandonate. Ora l’edera avviluppa come una camicia di forza quello che fu il teatro, i rami spiovono sui camminamenti da cui i ricoverati venivano sorvegliati, la sterpaglia si allunga verso le volte che ne facevano rimbombare le voci. Nel padiglione degli “agitati” ci si chiede dove siano finiti, loro e la loro energia. E a prendere posto su una di quelle panche viene da immaginarselo, come ci si senta, a non essere visti.

Foto © Luca De Feo

Foto © Luca De Feo e Paolo Lauri

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