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South West Coast Path near Porthbeor Beach

Il sentiero del sale

Il sole scese dietro Land’s End, stendendo sul mare gli intensi colori d’inizio autunno, e noi dormimmo per dieci ore filate, finalmente all’asciutto, a Predannack Head. La Lizard National Nature Reserve è stata istituita negli anni Settanta a salvaguardia di una vasta parte della penisola. Camminammo lungo la sommità della scogliera pianeggiante, attraversando dei tratti della rara brughiera della Cornovaglia, ricca di piante che mandarono in estasi Moth. Altri escursionisti del South West Coast Path parlano di chilometri percorsi in un giorno, di record stabiliti, di obiettivi raggiunti. Il nostro cammino invece stava diventando sempre più lento. Forse era dipeso dall’ora passata a esaminare la spiranthes spiralis, una rara pianta delle orchidacee, o dal tentativo di fotografare una farfalla nel pomeriggio, o da come ci eravamo attardati nelle prime ore della sera a Kynance Cliffs per osservare le foche nell’insenatura sottostante, fatto sta che quando scese il buio ci rendemmo conto che probabilmente non avevamo fatto nemmeno 5 chilometri, sicché in sostanza montammo la tenda a pochi passi da dove l’avevamo smontata.

Nelle prime luci del giorno i gracchi corallini scendevano in picchiata, librandosi fra le scogliere e l’isoletta di Bellows, i becchi rossi e le zampe chiare contro la roccia scura. Le allodole si alzavano, sospese appena fuori dal nostro campo visivo, e cantavano senza posa fin quando non tornavano a piombare sulla terra, per respirare a fondo. Alcuni gabbiani tridattili litigavano sulle cenge. Ma a quest’ora non avrebbero dovuto essere già partiti e in volo sull’Atlantico? Possibile che si fossero lasciati confondere dal caldo di quei giorni? Non si erano resi conto che l’estate era finita? Con riluttanza scendemmo a Kynance Cove e ci sedemmo sulle rocce per bollire un po’ d’acqua. I massi adesso non erano più di granito, grigi e squadrati, bensì di serpentino con tonalità che andavano dal verde scuro al rosso, una perfetta immagine di un’insenatura di roccia a pelle di serpente, acqua calma turchese e sabbia bianca. Almeno fino a metà mattina. Poi arrivarono. Sciamavano giù da ogni pendio, da ogni sentiero, da ogni canalone. Vecchi, giovani, bambini in età prescolare, bambini che avrebbero dovuto essere a scuola, secchi, sedie a sdraio, trolley pieni di attrezzatura, e tutti reclamavano il loro spazio fra le rocce, poi ogni centimetro di spazio possibile fino alla battigia, umani confusi dal bel tempo quanto i gabbiani tridattili. Un’invasione biblica, ma cosa cercavano? Sospetto che cercassero solo gli ultimi raggi di sole dell’estate; se avessero puntato a qualcosa di spirituale, be’, erano in ritardo: dopo le dieci e mezzo la dimensione spirituale non era più disponibile. Rinfilammo nello zaino il fornelletto e ci avviammo in senso contrario a quella marea umana. Proseguimmo attraverso un tratto aperto di brughiera verso Lizard Point e le rocce situate nel punto più meridionale della terraferma.

Ecco il fondo, la base vera e propria: per andare più a sud bisogna nuotare. Ovunque fossimo andati da qui, sarebbe stato verso nord. Puntammo in direzione dell’entroterra. Un luogo per le scelte, per le direzioni prese, le fotografie e le decisioni adottate. Una certa Phoebe Smith ha scritto un libro, Extreme Sleeps, sul campeggio libero alle quattro estremità cardinali della Gran Bretagna: Nord, Sud, Est e Ovest. Nel punto più meridionale, aspettò finché non fu buio, srotolò il suo sacco da bivacco e trascorse com’era prevedibile una brutta notte di sonno su una cengia al di sopra delle onde, poi in piedi con le allodole, o probabilmente con i gabbiani, una veloce passeggiata su per la costa e di nuovo in auto, verso l’estremo affioramento roccioso successivo. Mi sarebbe piaciuto tanto consumare un buon pasto, poi srotolare il mio sacco da bivacco senza un pensiero al mondo, sapendo che per quanta umidità o freddo potessi prendere, non sarebbe durato a lungo. Quello però non era il nostro sentiero; era il sentiero di Phoebe Smith. Il nostro piegava verso nord e comportava il fatto di prendere una decisione riguardo all’inverno. Noi non saremmo mai tornati indietro, questo lo sapevo. Non avremmo mai più varcato quella porta, lasciato cadere i bagagli sul pavimento di ardesia, dato da mangiare ai gatti, tagliato l’erba, passeggiato per il giardino in una notte stellata per vedere a nord il Grande Carro sospeso sopra le montagne. Non era mai sopra le montagne adesso. Era sempre a nord, ma era cambiata la mia prospettiva; avevo smarrito la mia bussola. Il paese torreggiava sopra di me, uno spazio vuoto che per noi non conteneva più niente. Una sola cosa era reale, per me ora più reale del passato che avevamo perduto o del futuro che non avevamo: se mettevo un piede davanti all’altro, il sentiero mi avrebbe fatto procedere, e una striscia di terra, spesso non più larga di una trentina di centimetri, era diventata casa. Non era solo l’aria più fredda, il sole più basso sull’orizzonte, la rugiada più greve o la mancanza di urgenza nel verso degli uccelli, la stagione stava cambiando anche dentro di me. Non mi sforzavo più, non combattevo più per cambiare ciò che non si può cambiare, non ero più oppressa dall’ansia per la vita che non eravamo stati capaci di tenerci stretta, o arrabbiata contro un sistema autoritario troppo burocratico per vedere la verità. Una nuova stagione stava insinuandomisi dentro, una stagione più morbida di accettazione. Bruciata dal sole, spinta dalle tempeste. Riuscivo a sentire il cielo, la terra, l’acqua e godevo di essere parte degli elementi senza che un baratro di dolore mi si aprisse dentro al pensiero che avevamo perso il nostro posto all’interno di tutto questo. Ero una parte del tutto. Non avevo bisogno di possedere un pezzo di terra perché fosse così. Potevo stare nel vento ed ero il vento, la pioggia, il mare; tutto era me, e io ero un niente dentro il tutto. La mia essenza non era andata perduta. Era diafana, inafferrabile, ma era lì, e diventava più forte a ogni promontorio.

Il faro, appollaiato nel punto più meridionale della terraferma, cinguettava, scendeva in picchiata e si alzava in volo con centinaia – o migliaia – di rondini. Era come se la gravità le avesse costrette a fermarsi qui, un ultimo momento di esitazione prima di affrontare il cielo e intraprendere il viaggio verso il Sud. Le rondini della nostra fattoria erano qui? Avevano trascorso l’estate nella porcilaia e adesso erano qui, in attesa, con la nuova famiglia, del momento in cui una forza irresistibile avrebbe sollevato le loro ali spingendole verso il caldo? Moth era lì in piedi, rigido, mentre sollevavo il suo zaino aiutandolo a metterselo in spalla. Il nostro sguardo tornò ad abbassarsi sul sentiero e seguimmo il suo richiamo verso il Nord.

(Questo testo è un estratto del libro “Il sentiero del sale” di Raynor Winn, © Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 2022. Ringraziamo la casa editrice e l’autrice per la gentile concessione).

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