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© Wikimedia/Ferdinand Perrot

La piazza più malfamata di San Pietroburgo

Per un po’ di anni ho pensato che la città che mi piaceva di più, al mondo, fosse Mosca. Era la prima città russa che avevo visto, mi aveva incantato.
Poi per un po’ di anni ho pensato che fosse San Pietroburgo.
Era la seconda città russa che avevo visto, mi aveva incantato anche lei.
Adesso, se dovessi dire, direi Mosca e San Pietroburgo.
Nel suo Viaggio in Russia del 1927 lo scrittore austriaco Joseph Roth dice che la piazza del palazzo di San Pietroburgo è «smisurata come piazza quanto la Russia è smisurata come regno. Attraverso i vetri delle finestre, che hanno una tonalità giallastra, la si guarda come si guarda un lago gelato. Sale da essa una malinconia di pietra e di ghiaccio, come sale la nebbia da un lago vivo. Le persone che la attraversano sono minuscole, sembrano fiammiferi travestiti da uomini».
Io, la prima volta che l’ho vista, quella piazza, alle sei del mattino, senza nessuno intorno, senza automobili, senza corriere, sembrava uno spazio non euclideo, sembrava irreale, come irreale mi era sembrata la prospettiva Nevskij, che avevo fatto tutta, a piedi, dalla stazione di Mosca fino alla piazza, alle sei del mattino di un giorno di aprile del 1991, e c’erano i palazzi enormi, e i pochi passanti minuscoli, e grigi, tutti vestiti uguali, di grigio, aveva ragione Roth, sembravan fiammiferi, e un unico negozio occidentale, Lancôme, con una fotografia di Isabella Rossellini che sembrava l’unica cosa a colori, in quell’universo grigio, sembrava venire da Urano, un altro mondo; se c’era una pubblicità, sui palazzi sovietici, era sul tetto di una casa e diceva: ‘Non permettete ai bambini di giocare con i cerini’.
Sempre fiammiferi.
E, per molto tempo, per me Pietroburgo è stata così, bellissima e in rovina, nobile e operaia; c’era un posto, in particolare, che mi sembrava riassumesse questa idea, la piazza del Fieno, che è il centro della Pietroburgo di Dostoevskij, la piazza più malfamata della più malfamata città russa.
Perché Pietroburgo, in Russia, ha la fama di essere un posto sinistro, Dostoevskij la definisce «la più astratta e premeditata città del globo terrestre», premeditata nel senso che, prima che Pietro il Grande, nel 1703, decidesse di costruire qui la sua capitale, qui non ci abitava nessuno, e i pietroburghesi dicono che c’erano dei motivi, se non ci abitava nessuno, il clima, per esempio, che non è proprio ideale, e il fatto che sì, d’estate ci sono le notti bianche, e il sole non tramonta mai del tutto, e è bellissimo, ma d’inverno è il contrario, ci sono i gironi neri, c’è luce solo qualche ora al giorno, e qui, dicono gli abitanti di San Pietroburgo, d’inverno puoi fare solo due cose, o bevi, o studi, e allora, se Mosca è una città che i russi considerano famigliare, alla mano, si usa dire «Moskva – bol’ŝaja derevnja», che si potrebbe tradurre con «Mosca è un paesone», San Pietroburgo ha fama di essere una città intellettuale e un po’ scostante, e per questo, se doveste andarci, nelle librerie di Pietroburgo sarà possibile che troviate dei quaderni con, in copertina, una bottiglia di vodka e un ombrello aperto e la scritta: ‘Iz Peterburga s apatiej i bezrazliĉem’, che significa ‘Da Pietroburgo con apatia e indifferenza’, che a me, quando li ho visti, nel 2016, ne ho comprati subito cinque o sei da regalare in Italia.

Ma parlavamo della piazza del Fieno, che, ai tempi di Dostoevskij, era la più malfamata piazza di San Pietroburgo. Alla prostituta che incontra nella seconda parte delle sue Memorie del sottosuolo, l’uomo del sottosuolo dice: «Adesso sei giovane, bella, fresca, piaci a tutti, ma dopo un anno di questa vita non sarai più così, appassirai. Passerai da qui a un posto più brutto, in un’altra casa. Dopo un altro anno, in un’altra casa ancora, sempre più in basso, e tra sette anni arriverai in una cantina della piazza del Fieno».
La piazza del Fieno era, ai tempi di Dostoevskij, il posto peggiore di San Pietroburgo e quando l’ho vista io, nel 1991, il centro della piazza era occupato da un cantiere che sembrava fermo da anni, coi materiali di risulta dei lavori per l’ampiamento della stazione della metropolitana, e intorno a questo centro disordinato e confuso fioriva, per tutta la piazza, il più grande mercato sottobanco di San Pietroburgo.
C’erano delle signore anziane che vendevano dei merletti, dei giovanotti che compravano e vendevano oro, delle donne che vendevano dei fiori, delle altre che vendevano delle bacche, o dei semi di girasole, c’era di tutto. I miei amici dicevano che, se avessi avuto bisogno di un carrarmato, bastava andare alla piazza del Fieno e chiedere al primo che incontravo che, lui magari non aveva, in quel momento, la disponibilità di carrarmati dell’ultima generazione, ma avrebbe chiesto a un altro, che avrebbe chiesto a un altro, che avrebbe chiesto a un altro e dopo dieci minuti io avrei avuto il mio carrarmato, dicevano i miei amici russi.
Poi, nel 2002, in previsione delle celebrazioni per il tricentenario della città, la piazza è stata sgombrata, ho visto con i miei occhi un escavatore di medie dimensioni, del colore giallo degli escavatori, che spingeva fuori dalla piazza una signora anziana che provava a vendere le sue povere cose e, quando son tornato a Pietroburgo nel 2003, il cantiere al centro era scomparso, nella piazza era stato ripristinato il traffico automobilistico, al centro c’era una rotonda in mezzo alla quale stava un monumento di cristallo donato a Pietroburgo dal governo francese; sui marciapiedi avevano messo delle panchine che, al posto dei piedi, avevano delle ruote dei carri del fieno e mi ricordo di avere pensato che quella piazza non sembrava più la piazza di Dostoevskij, sembrava una pizzeria.
Una mia amica, che tutte le volte che aveva ospiti a San Pietroburgo, per prima cosa li portava a vedere la piazza del Fieno, quell’anno, nel 2003, uscendo dalla stazione della metropolitana che si affaccia sulla piazza, era scoppiata a piangere.
E quando, in quel 2003, avevo raccontato il mio dispiacere per la scomparsa della piazza del Fieno come me la ricordavo io a un mio amico russo, lui aveva taciuto un po’ e poi aveva detto: «Lo volete solo voi, il progresso?».
Aveva ragione.

(Questo testo è un estratto del libro “La grande Russia portatile” di Paolo Nori, Salani Editore, 2018. Ringraziamo l’autore per la gentile concessione).

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