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Il mercato di Besiktas a Istanbul

Il sabato di Beşiktaş

Il distretto di Beşiktaş è uno dei più coinvolgenti nell’immensa megalopoli che costituisce il comune metropolitano di Istanbul (oggi sfiora i 15 milioni di abitanti). Tra gli sportivi è noto per la sua storica squadra di calcio, tra i turisti per lo sfarzoso kitsch del palazzo Dolmabahçe e per l’elegante Grande Moschea Imperiale (Büyük Mecidiye Camii) situata sulla riva del Bosforo, nel quartiere di Ortaköy. Il museo della marina è colmo di reperti affascinanti e sulla strada che porta al suggestivo sobborgo di Arnavutköy (villaggio degli albanesi, ancora ricco di case di legno e sulla via dell’immancabile gentrificazione) sorge la prestigiosa università Galatasaray. Solo per citare alcune delle sue maggiori attrattive. Non poteva mancare un mercato, seppur fuori dai verbali escursionistici consueti. Anzi, per l’esattezza, dei mercati, perché in effetti sono due.. Il più illustre e permanente è quello del pesce, anche se per colmare i vuoti durante la stagione in cui la pesca è limitata, apre i suoi spazi a fruttivendoli e fiorai. È stato ricostruito tra il 2008 e il 2009 con un progetto che lo ha inserito tra le nuove strutture architettoniche degne di nota della città: una specie di vela triangolare sospesa o un guscio di conchiglia in cemento e acciaio sotto la cui campata si collocano banchi e ristoranti.

Il mercato del pesce di Beşiktaş (Foto © Alp Eren)

Molto meno pomposo è il mercato di Beşiktaş. Si svolge ogni sabato, dall’alba al tramonto, sulla spianata di asfalto di un brutto parcheggio per auto. Un pianterreno e un primo piano. Tutt’intorno si sviluppa la vivacità del quartiere con i suoi negozi, caffè, gente. La gente, soprattutto, come ovunque in città: tanta, troppa forse, chiassosa ma gentile, affannata ma cordiale, frenetica quanto lo scorrere (eufemismo) della marea di automobili (i soli taxi sono centinaia) che strombazzano ininterrottamente a ogni incrocio, semaforo, strettoia. Non è facile da raggiungere con i mezzi pubblici: si trova in Nüzhetiye Caddesi, a una ventina minuti di cammino sia dalla stazione metro di Osmanbey che dall’imbarcadero di Beşiktaş, ma meglio ricorrere a un’auto pubblica e chiedere del bazar di Beşiktaş (Beşiktaş pazari). E poi immergersi tra le oltre 400 bancarelle: cibo (soprattutto frutta e verdura, con qualche eccezione per olive, spezie e formaggi) al piano terra; abbigliamento e accessori, profumi, e prodotti per la casa al primo. A dominare è la sequenza meravigliosa di colori esaltati dalla disposizione quasi artistica di pomodori, melanzane, pannocchie, mazzi di erbe aromatiche, grappoli d’uva, ecc.

Ogni banco pare una cornucopia che sciorini abbondanza e bellezza. Armonia cromatica e grandiosità naturale in mezzo al viavai più forsennato, ai richiami degli imbonitori, ai ritmi incalzanti con cui venditori e acquirenti scelgono, imbustano e acquisiscono quintali su quintali di cibo. L’inflazione in Turchia galoppa, sfiora l’80%, la lira turca è entrata in crisi in seguito a un taglio del proprio tasso di interesse di riferimento deciso dalla Banca centrale, in linea con la visione economica del presidente Erdoğan. Questo rende estremamente difficile la sopravvivenza ai cittadini locali ma, per contro, la fa diventare oltremodo conveniente per chi disponga di valute occidentali. Al limite dell’imbarazzo. Un chilo di ciliegie nel luglio 2022, quotate fino a 18 euro a Milano, veniva a costare poco più di 2 euro (40 lire turche). Un chilo di pomodori l’equivalente di 70 centesimi di euro. Più cara la frutta secca e le spezie, intorno ai 2-4 euro al chilo. Prezzi comunque irrisori. I formaggi – grandissima è la varietà e altrettanto eccelsa la qualità – raggiungevano i 4 euro al chilo, in particolare quelli marinati in salamoia con erbe aromatiche.

Una veduta generale del piano terra al mercato di Beşiktaş (Foto © Gian Piero Piretto)

Come spiegare, a fronte di questo stato di cose, la grandissima affluenza nei ristoranti, negozi e mercati? Amici locali la interpretano come consapevolezza di non poter investire sul risparmio, di non riuscire a ipotizzare acquisti importanti di case o automobili e adottare di conseguenza la decisione di godersi il denaro che di ora in ora continua a perdere valore. Esistono ovviamente diverse fasce di popolazione che risentono in modi diversi della svalutazione. Anche il problema del caro affitti si sta facendo incalzante. E nella rutilante metropoli non mancano scene di atroce miseria: madri mendicanti con bambini che entrano nei cassonetti dell’immondizia alla ricerca di qualche avanzo di cibo, bimbi di strada che vivono in gruppi e questuano o delinquono per sopravvivere.

Chi non fosse a conoscenza di queste realtà e si basasse soltanto sulle apparenze resterebbe colpito dall’avanzata tecnologia che a Istanbul traspare con evidenza: un sistema di trasporti pubblici strepitoso fa circolare milioni di persone quotidianamente: bus, metropolitane, battelli, tram, frequentissimi ed efficientissimi al prezzo di poco più di 7 lire per corsa (40 centesimi di euro). Vero è che non esiste il biglietto a tempo e che a ogni cambio bisogna pagare una nuova tariffa e pure questo, a lungo andare, incide su molti bilanci familiari. I bancomat, nelle zone più centrali e commerciali, si susseguono a vista d’occhio; i negozi restano aperti fino a tarda sera, domeniche comprese. Il commercio ambulante imperversa ovunque. Il consumo è convulso, continuo e costante e si arresta soltanto quando si raggiunge un angolo appartato, una strada fuori mano, dove catapecchie di legno chagalliane si ergono ancora per miracolo sulle proprie fondamenta, dove un gruppo di anziani signori beve tè sotto un pergolato, dove le colonie di gatti regnano indisturbate, dove un’ondata di inebriante profumo fa scoprire l’ennesima pianta di fico abbarbicata su un qualche costone.

Contrattazioni cromatiche (Foto © Gian Piero Piretto)

Ma torniamo al mercato. E riprendiamo il discorso dei colori. È la grande quantità di merce che aumenta l’effetto estetico e scatena le sinfonie cromatiche. Valanghe di rossi pomodori, gialle pannocchie di granoturco, verdi cetrioli, variegate angurie, ciliegie amaranto, melanzane viola, albicocche arancio, meloni paglierini, bianchi fondi di carciofi a bagno nelle bacinelle piene di acqua e limone (mi è tornata in mente Venezia). Cosa c’è di diverso dai nostri mercati allora? Le proporzioni, la gente, l’atmosfera, ovviamente. La magnificenza dei prodotti contrasta con l’essenzialità della struttura, le sue travi di metallo approssimative, i fili elettrici che corrono ovunque dispensando nude lampadine, la sporca gettata di cemento che fa da pavimento, le scalette improbabili che portano al piano superiore. Il mercato diventa specchio della città: grandiosità e approssimazione sono il binomio più adatto a sintetizzare le discrepanze che caratterizzano la realtà urbana. Accanto a costruzioni avveniristiche e pezzi di ardito design esistono ancora infinite case diroccate e abbandonate, strade dissestate fanno angolo con arterie a più corsie, assieme a ragazze discinte passeggiano coetanee velate o interamente coperte dal burqa, avanguardia e tradizione coesistono, in apparenza senza conflitti, ma nel profondo segnalano contrasti irrisolti e posizioni discutibili. Il mercato ne è metafora. La ricchezza e l’attrattiva delle merci contrasta con la povertà della struttura. Ma anche in questo sta la sua autenticità, il suo non avere ancora ceduto alle riqualificazioni che, senza fornire reale sostegno agli indigenti, trasformano società e ambiente a vantaggio delle classi privilegiate e snaturano il tessuto sociale più originale.

Un banco di frutta secca con il giovane venditore impegnato a chattare (Foto © Gian Piero Piretto)

Anche questo rende opportuna una visita alle bancarelle lontane dal Gran Bazar o dal Bazar egiziano delle spezie, a Istanbul come altrove, per non lasciarsi ingannare dall’impeccabilità delle zone turistiche, per non limitarsi a visioni scontate e stereotipate, per “sporcarsi un poco le mani” a fianco delle persone più diverse e provare a capire un po’ meglio come stiano davvero le cose, come proceda la vita al di fuori dei percorsi prestabiliti e globalizzati. Nessun rischio, in questo caso. La presenza di uno straniero verrà sicuramente notata, per quanto mimetizzati si cerchi di essere, ma con rispetto e discrezione ci si potrà godere la visita senza alcun problema. Se poi si dovesse per qualche ragione attaccare discorso ed emergesse il Paese di provenienza un bagliore negli occhi degli interlocutori, costante e garantito, si accenderebbe e l’antica reputazione (o stereotipo) dell’Italia colpirebbe ancora una volta nel segno. Ne sono rimasto sempre piacevolmente colpito. “Turchi, italiani, una razza, una faccia” – diceva Aziz, l’astuto procacciatore di oblio nel capolavoro di Gabriele Salvatores del 1991. Al termine dell’escursione, vagabondare per il territorio e riempirsi gli occhi di colori sarà il piacere più grande, magari riforniti di frutta e verdure fresche, qualche minuto sul bordo della strada a caccia di un taxi libero (ne passano ininterrottamente) e la via del ritorno è garantita.

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