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La birreria che ha cambiato il giro alla trottola

Lo spartiacque tra la Cassinasco di una volta e quella di adesso è stata l’apertura della birreria “Il Maltese”. Nel 1983 il bar La Torre, che era in piazza dove adesso c’è il Maltese, era gestito da Angelo e sua moglie, i genitori di Daniela Martini. Erano stati lì circa cinque anni, poi venne l’occasione per Angelo di ricominciare a lavorare nell’edilizia e così vendettero la licenza a Dario Verdino e a sua cugina Paola, due venticinquenni. Dario di Canelli e Paola di Genova. Io non li conoscevo affatto, né l’uno né l’altra. Avevano l’età di mia sorella, adulti, mentre io ero un ragazzino.

Dario e Paola mantennero il bar com’era fino al febbraio dell’84, poi chiusero le saracinesche e cominciarono i lavori che trasformarono il vecchio bar nella prima versione del Maltese (quella col bancone al muro che dà le spalle alle scale che salgono e a quelle che scendono). Durante i lavori, ricorda Dario, erano sempre presenti a dare consigli e a curiosare due grandi personaggi della Cassinasco che non c’è più: Giovannino Capra, il padre di Ercole e Federico, e Carlino Depetrini. Ma di loro parleremo in altre occasioni. L’eccitazione per l’apertura di una birreria nel centro della piazza di Cassinasco era molta, tra noi ragazzi. Dario e Paola erano due tipi alternativi, come si diceva allora e forse anche adesso. Nel senso che non avevano niente a che spartire con la bifolcheria tipica di Cassinasco e paese simili.

Non è che Dario e Paola fossero poi così alternativi, intendiamoci. Tutti e due un po’ troppo tranquilli per dare subito nell’occhio. Dario era un tipo taciturno che aveva studiato ragioneria e aveva cercato di lavorare a Torino in qualche tipo di associazione sociale; Paola veniva dalla città (dal quartiere di Sestri Ponente a Genova), era molto bella, con due grandi occhi chiari, e anche lei timida e riservata. Però, insomma, le birrerie all’epoca erano la Grande Novità e si facevano dei chilometri per raggiungere quelle poche già aperte: ad Abbazia di Masio, dove c’era la Luna Turca o ad Agliano (il Golden Boy o qualcosa del genere). Da aprile, invece, noi canellesi avremmo avuto una vera e propria birreria a cinque minuti di auto! Non ricordo niente, di quei giorni, se non che passavo per andare a trovare Roberto o Stefano e vedevo le saracinesche chiuse e mi chiedevo quanto tempo ci avrebbero messo. E a far cosa, poi? Come sarebbe stato il locale?

Alcuni avventori della birreria “Il Maltese” (foto © Daniele Ferrero)

Arrivò infine la Pasqua dell’84. Ricordo di aver partecipato alla Via Crucis il venerdì santo e di essere uscito di chiesa trovandovi Mauro Riccone e Mauro Du Gè sulla vecchia 500 di Mauro Du Gè, un genovese/bubbiese biondino bassino freakettone a tutti gli effetti. O era un altro anno e un’altra Via Crucis? Va beh, insomma, era Pasqua. E la birreria apriva le sue porte al mondo. Il delirio di gente, la birra offerta gratis dalla proprietà, i tavoli nuovi (gli stessi di adesso ma senza scritte), l’ambiente buio, la musica a tutto volume, l’esaltazione… quello lo ricordo bene.

L’inaugurazione fu dunque un successo. Poi vennero i giorni della routine. E qualcosa non funzionava: il Maltese era l’unico locale del paese e il paese aveva bisogno di un locale che accogliesse i vecchietti a giocare a carte e servisse la colazione a chi partiva presto per andare a lavorare. Ovviamente Dario e Paola avevano in mente un locale serale. Capivano senza sforzi che tenere aperto tutto il giorno sarebbe stato un suicidio economico e capivano anche che i tavoli ingombri di vecchi campagné che giocavano a Picchio e protestavano per la musica troppo forte non erano lo spot migliore per attirare il pubblico giovane e alternativo che volevano attirare.

L’avventura di Dario e Paola era destinata a durare a lungo, a un certo punto con il solo Dario, ma le premesse non erano buone. Lentamente ma inesorabilmente, il paese tutto si coalizzò contro la birreria. I vecchi, certo, ma anche i giovani locali, cominciarono a manifestare il loro rifiuto nei modi più vari. C’era chi spargeva in giro voci e chi, molto semplicemente, non metteva piede nel locale. I più entusiasti sostenitori eravamo io e un gruppetto ridotto di cassinaschesi illuminati e poi la gente da fuori. Gente da fuori che, dati i tempi che correvano, sembravano presi a caso da un campionario di individui andati a male nonostante la giovane età. Tossici, ex tossici, hippy in ritardo, semplici sfigati componevano lo zoccolo duro e in breve tempo la birreria diventò una specie di oasi per gli sconvolti. A noi ragazzini andava bene anche perché non è che avessimo molti rapporti con questi alieni, e poi gli alieni, alla fin fine, al di là del mare di cazzate verbali che riuscivano a produrre, non facevano male a nessuno. Qualche volta poteva scoppiare una rissa tra Dario e uno di loro (Dario aveva cominciato ad assaporare i primi controlli dei terribili Carabinieri di Canelli, guidati da un cattivissimo comandante chiamato Granvillano e cercava di fare da servizio d’ordine come poteva), ma per il resto il Maltese era un posto dove potevi godere di “musica buena e gente tranquilla”, per usare una famosa frase di Eraldo Bosca.

Dario nell’85 diventò padre di Francesco e prese a lavorare lì la madre del bambino, Tiziana. Quando nell’86 ebbe un pauroso incidente in auto, Dario dovette abbandonare per mesi il locale. In sua assenza le cose presero una piega surreale: Tiziana e Paola non avevano molta voglia di lavorare e quindi gestivano il bancone come veniva: se erano nei paraggi servivano il cliente, se erano sedute con qualcuno ai tavoli, pazienza. E poi erano impazienti di chiudere per andare in discoteca. Nel frattempo il Maltese aveva cominciato a diventare quello che era nella testa di Dario e cioè un posto dove poter avere la musica dal vivo ogni volta che si poteva. Altri problemi, ovviamente. Problemi con i vicini, problemi col sindaco, problemi con tutti. Ma, come nei film, Dario ce la fece. Adesso possiamo dire con orgoglio che a vedere i Blue Alternativa, band composta da Danilo Sacco, Marco Soria, Paolo Blon Bellone, Daniele Cacciola (o Pietro Ponzone) e Daniele Fioriti, c’era sempre un sacco di gente. I Blue Alternativa arrivavano dalla saletta Treccani del circolo ARCI di Canelli e avevano una ventina d’anni a testa. Suonavano pezzi loro e qualche cover (all’epoca andavano gli U2 e Danilo imitava perfettamente Bono), dopo di loro avemmo la fortuna di vedere il grandioso gruppo pop psichedelico Knot Toulouse, e i 55 aprile di Paolo Archetti (poi negli Yo Yo Mundi).

Qualcosa si era mosso, e sebbene in più di vent’anni non abbia mai sentito Dario esprimere soddisfazione per l’esito economico di questa attività, qualcosa mi spinge a pensare che qualche soddisfazione, al contrario, Dario se la sarà pure tolta, sia economica, sia professionale. Altrmenti Dario è pazzo. O solo perseverante. Lui insiste ancora oggi a dire che aveva investito un mucchio di soldi all’inizio, e che quindi ha sempre tirato avanti in nome di quello sforzo, ma non si sta vent’anni sulla scena solo per quello…

La birreria “Il Maltese” vista dalla piazza di Cassinasco (foto © Daniele Ferrero)

I primi anni sono successe tante cose, tante persone si sono rese protagoniste della vita del locale. È impossibile citarli tutti, è impossibile anche citarne il dieci per cento. Il Maltese ebbe anche un’epoca letteraria, col sottoscritto e una banda di pseudo intellettuali a inventare e a produrre una rivista di racconti che si chiamava come il locale. A fondare la rivista chiamai anche Ivano Pallavidino, sorta di unico beatnik canellese vissuto a Torino tanti anni anche in strada, morto in circostanze poco chiare più di un anno fa. Chiamai anche la bella maestra pescarese Graziella De Amicis e Giovanni (allora Giambeppe) Succi, ora famoso come musicista con i Bachi da pietra. La De Amicis abitava a Santo Stefano ed è da vent’anni a Palermo.

Questo per dire come basta soffermarsi su un fotogramma minimo di realtà maltesiana (la nascita della rivista omonima) per trovare almeno tre storie da raccontare, tre storie piene di vita, di casini, di scelte pazzesche, di avventura. Per prima cosa dovete pensare che, rispetto alle foto, il pavimento della piazza in cui sorgeva il Maltese (Piazza Caracco), non era mica di pietre rosse come adesso. Le pietre rosse che ci sono adesso fanno abbastanza schifo, ma ai bei tempi c’era uno spartano strato d’asfalto che faceva ancora più schifo. E mica c’erano le luci gialle che sembra sempre Natale come adesso, di sera. No, c’erano dei lampioni dell’Enel con la loro non-luce azzurrina. E il Maltese mica aveva la veranda, no, il Maltese cominciava subito lì sulla piazza, uno scalino ed eri dentro. Lo squallore della piazza allora era superiore allo squallore della piazza adesso.

Erano anni Ottanta tutt’altro che glamour, i nostri al Maltese. Eravamo sempre a confronto con la bruttezza, in modo costante e certosino. L’arredamento del locale (stessi tavoli e stesse sedie, stesso pavimento di adesso) rifletteva un gusto retrò che all’epoca veniva associato alle birrerie. Si avevano in mente, forse, i pub di Londra, con i tavoli di legno, tutto di legno, tutto marrone. Non si pensava ai materiali moderni tipo leghe leggere per tavoli e sedie, o al vetro, all’acciaio, no, si pensava al legno.

Il bello di quei primi tempi era che si poteva leggere, al Maltese. C’erano riviste bellissime, lasciate lì per la clientela buzzurra, che a lungo andare coltivò un po’ di gusto anche grazie alla lettura di quelle riviste. Tutte le migliori pubblicazioni a fumetti (Frigidaire, Corto Maltese, 2984, Metal Hurlant e tante altre), qualche libro, qualche giornale di musica… ora al Maltese non c’è letteralmente niente da leggere, neppure La Stampa… L’avventore, nel 1984, poteva entrare da solo, ordinare una birra, sedersi al tavolo e starsene tranquillo a leggere per tutto il tempo che voleva.

I problemi arrivavano dal paese. Dal sindaco, soprattutto. Ricordo la mia difficile posizione in quel periodo (amico di Dario e amico anche del sindaco Cocino), potevo capire tutti e due ma capivo che il Maltese, che piacesse o non piacesse, era da considerare una risorsa del paese. Senza quel locale, Cassinasco sarebbe tornato a essere un paese in via di estinzione, come Loazzolo, come Rocchetta. Il sindaco costringeva Dario a tenere aperto dalle sette del mattino per tutto il giorno e a chiudere tipo all’una o alle due. Più volte fu multato per aver chiuso un po’ dopo… e il locale aveva un po’ di gente soltanto a tarda sera. Dario aveva un bel dire al sindaco che tenere aperto tutto il giorno era inutile: non entrava nessuno, non c’era letteralmente nessuno nel paese, specie d’inverno, e che invece chiudere alle tre avrebbe avuto senso… niente, dall’altra parte la collaborazione fu sempre e soltanto zero.

L’insegna della birreria (foto © Daniele Ferrero)

Nel frattempo il popolo del Maltese continuava a rinnovarsi. I benpensanti diminuirono con gli anni, le nuove leve di Canelli e dintorni erano meno restie a visitare quel rifugio di matti di quanto non lo erano stati i coetanei di Dario. Gli aiutanti che hanno affiancato Dario negli anni sono stati innumerevoli e tutti stravaganti: Sandro Malagoli (!), Fiorella la madre di Lorena, Clara, Monica, Max, Paolo e Marinella e poi le ragazze dei weekend (la Gallareto e la Vogliotti ecc ecc). La compilazione puntuale dei fatti e delle persone che hanno caratterizzato più di vent’anni di storia non è un’impresa alla mia portata e sarebbe materia sufficiente per due volumi di seicento pagine. Mi limito a descrivere la musica trasmessa da Dario negli anni: all’inizio mi sembra di ricordare che Dario e la sua ombra gemella Leo Rusignuolo avessero un debole per Neil Young, Alan Stivell e i Weather Report. Per i Talking Heads prima maniera, per i Little Feat e per Lucio Battisti. Poi anche Dario si fece new wave e passò al reiterato ascolto dei Cure (in particolare l’album “Seventeen Seconds”) e anche Dario (un po’ malvolentieri) si fece zappiano, e quindi ore e ore di strana musica contemporanea “allietavano” il pubblico smanioso di un riff qualunque dei Rolling Stones. L’impianto stereo era di primissima qualità: una piastra giapponese esoterica per le cassette, due Bose come casse e anche un amplificatore niente male. Il Maltese era di gran lunga il posto in cui poteva succederti di ascoltare la miglior musica possibile nel raggio di chilometri.

Ma alla fine che cosa successe al paese, quando il Maltese diventò presenza abituale? Successe che rock band da mezza Italia andarono a Cassinasco per suonare la loro musica, successe che molti lettori di libri e riviste sapevano che in una birreria nell’astigiano si faceva una delle migliori riviste di narrativa a livello nazionale. Volente o nolente, il paese stava uscendo dall’anonimato più totale e avvicinandosi allo status di “culto”. Volente o nolente, ma soprattutto inconsapevole. Tanto che ancora oggi il sindaco (che è un altro) non sembra affatto voler favorire l’esistenza del locale, non sembra – ancora adesso – considerarlo la risorsa enorme che è.

Pur non volendo e pur non sapendolo, il paese cambiò. I giovani cambiarono, si abituarono agli altri, ai forestieri, agli accenti diversi, ai modi di pensare diversi. Qualcuno continuò a vivere come i genitori e i nonni, qualcuno no. Ma quel locale nel mezzo della piazza, quel locale conosciuto da Genova a Torino, da Milano alla Sicilia, stava facendo zitto zitto una rivoluzione dei costumi.

(Questo testo è un estratto dell’ebook “La vita moderna è rumenta vol.1” © Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano. Prima edizione in ZOOM flash, giugno 2012. Ringraziamo Marco Drago e Giangiacomo Feltrinelli Editore per la gentile concessione e Daniele Ferrero per le foto).

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