Rivista di luoghi, storie e altro

Con quella faccia un po’ così

Per me è sempre stato imbarazzante parlare delle Langhe, e motivi ce ne sono a sufficienza. Il primo – direi insuperabile – è che io non vengo dalle Langhe. Io vengo da Canelli e Canelli non è nelle Langhe. Non è nemmeno nel Monferrato. È un posto così sbagliato, Canelli, che ha dovuto inventare di sana pianta una definizione del suo territorio, composto dalla conca della città e dai paesini piccolissimi arrampicati sulle colline che la circondano (paesi come Cassinasco, San Marzano Oliveto, Sant’Antonio, Calosso, Moasca, Loazzolo, Rocchetta Palafea). Tale definizione, risibile, è “Colline tra Langhe e Monferrato”. Come dire “colline”. Quindi io di Langa, e cioè di Alba e dintorni, non so molto. Dalle mie parti ognuno sta a casa sua, non si gira molto a vedere come si vive altrove. Alba io ci sarò stato dieci volte nella mia vita. 

Poi ci sono i fantasmi ingombranti di Pavese e Fenoglio, autori che io non conosco; il fatto di essere il primo scrittore della zona a essere pubblicato in pompa magna dai tempi di Fenoglio e il fatto di non aver mai nascosto la mia ignoranza e di aver perseverato in essa non ha fatto altro che aumentare il mio imbarazzo verso la presunta letterarietà dei miei posti. Se in alcune parti dei miei libri ho descritto queste terre è soltanto perché era il materiale che avevo comodamente a disposizione. Non sono un gran viaggiatore, ho sempre cercato di fare le nozze coi fichi secchi, in letteratura. E poi – finché non sono approdato a Milano cinque anni fa – non è che avessi quella gran percezione di che cosa significasse vivere a Canelli o altrove. 

Canelli (Asti) © Daniele Ferrero

Canelli, che i lettori forti conosceranno per le numerose citazioni pavesiane, è nota da anni per una discreta imprenditorialità prima vinicola e successivamente enomeccanica (macchine per l’industria del vino) ma anche per una svogliatezza sociale e culturale che ne limita fortemente qualsiasi fascinazione. Difficile che chi viene a Canelli una volta, ci torni di nuovo con entusiasmo. L’idea trasmessa agli altri da Canelli e da noi che ne siamo gli abitanti non è lontana dall’idea trasmessa da certi paesotti urbanisticamente devastati della Brianza o del Veneto. Ma la sua posizione di confine della provincia di Asti e di passaggio obbligato verso la Liguria la rende il punto di partenza ideale per fare un giro verso sud, verso la Valle Bormida e verso il mare. Un giro che rivela la letterarietà intrinseca delle colline che convergono verso l’Appennino.

Per fare le cose come si deve bisogna partire da Canelli e salire verso Cassinasco. Si prende una strada in salita dopo il passaggio a livello della stazione, si fanno circa 250 curve e mentre si sale, sulla destra, si può godere della vista delle Alpi sullo sfondo e delle colline che si rincorrono a nord verso Asti. Cassinasco sta a sud di Canelli. Verso la Liguria. Mi sembra che Pavese ne parli proprio come di “porta verso il mare”. 

La peculiarità di Cassinasco è la sua posizione geografica. È infatti uno spartiacque o sparticolline: si sale da Canelli (che è nella Valle Belbo), si arriva a un dosso e lì c’è il paese, sulla sinistra. Se invece si prosegue, scendendo verso Bubbio, si arriva in Valle Bormida. Le due valli  non si toccano perché in mezzo c’è la collina di Cassinasco. Le due valli non si toccano e si vede. Non ci può essere paesaggio (anche umano) più diverso.

Il passaggio a livello di Canelli © Daniele Ferrero

La Valle Belbo (Santo Stefano-Canelli-Calamandrana-Nizza-Incisa Scapaccino-Castelnuovo eccetera fino ad Alessandria) è simile alle suburbie venete, con quel susseguirsi a fondovalle di capannoni industriali, capannoni commerciali, villette, villone, mobilifici, cantine e distillerie, rotonde alla francese appena rifatte, belle automobili, benessere diffuso.

Invece la discesa in Valle Bormida regala ancora visioni e climi d’altri tempi. Tra Cassinasco e Bubbio il paesaggio è ancestrale: una specie di canyon sulla sinistra si inabissa giù giù. Alberi, boschi, qualche casa ritagliata in mezzo alla natura improvvisamente più selvaggia che nella valle Belbo appena lasciata alle spalle. A metà strada tra i due paesi c’è la celebre “Curva del trombone”, detta anche “Curva dei piciu”, lastricata di paracarri d’epoca dalla forma inequivocabimente fallica. Si arriva finalmente all’incrocio del Giarone a Bubbio e lì si deve scegliere se prendere a destra o a sinistra. La sostanza non cambia nell’immediato: quella che ci troviamo di fronte è la strada che da Acqui va a Cortemilia (Est-Ovest). Se si sceglie di andare a ovest si vedono paesi come Bubbio, Cessole, Vesime e appunto Cortemilia. Cortemilia è in provincia di Cuneo, è Langa. Il resto no, o sì, chissà. Se si sceglie di andare a est si incontrano Monastero Bormida e Bistagno, poi una volta a Bistagno (che è provincia di Alessandria) si può girare a sinistra e proseguire verso Acqui e Alessandria oppure girare a destra e virare verso l’appennino e la Liguria. Propenderei decisamente per quest’ultima ipotesi. 

Bubbio, incrocio del Giarone © Daniele Ferrero

Comunque la prendiate, ‘sta benedetta Valle Bormida (che di fiumi Bormida ce ne sono mezza dozzina tutti lì intorno) non ha nulla della Valle Belbo. I paesi sono molto più antichi, l’urbanistica dei paesi è totalmente diversa. Vicoli, saliscendi, case di pietra. È già una Liguria anticipata, a Bubbio come a Monastero. Anche i paesi più anonimi come Vesime e Cessole hanno però ancora un’atmosfera di altri tempi. La piazza, le case, la gente, tutto proviene da un’altra epoca. Si intuiscono più modestia, ma anche più dignità, oltre a uno spirito di comunità superiore a quello della Valle Belbo. Non c’è il lusso cafone/veneto di Canelli e Nizza. C’è una civiltà contadina che stenta a scomparire. A me che sono troppo giovane per avere memoria di una Canelli contadina, quel tipo di aria che si respira in Valle Bormida fa venire nostalgia di un’epoca che non ho mai vissuto. Noto incidentalmente che mio padre diceva sempre che le ragazze della Valle Bormida erano più gentili e disponibili di quelle delle sue parti.

Cessole (Asti) © Daniele Ferrero

Scompaiono i vigneti, si capisce al volo che qui abita altra gente da noi. Se uno fosse ancora lì a Giarone all’incrocio, che deve decidere se prendere a destra o sinistra, potrebbe anche prendere dritto, o comunque quasi dritto, e andare a sud, in mezzo alle colline più alte, al confine dell’Appennino Ligure. A sud ci sono tre paesini incantati: Roccaverano, San Giorgio Scarampi e Olmo Gentile. Ancora più giù, nella punta estrema del sud del Piemonte c’è Serole. In questi paesi la vita non è la stessa del resto della nazione. Si sta come in montagna: ci si conosce tutti perché ci sono 20 famiglie a paese e ognuno provvede al proprio fabbisogno (verdure, formaggi e carne non si comprano nei negozi, si fanno in casa). 

La piazza di Vesime (Asti) © Daniele Ferrero

Un pomeriggio qualunque di un giorno qualunque a San Giorgio Scarampi è un’esperienza magica. La consiglio a tutti. Sembra di essere nella vignetta di un rebus. Tutte le strade sono vuote. Il paese è panoramico, si possono vedere colline e colline a trecentosessanta gradi. C’è una torre arcigna che domina la piazza. Il vento sferza le chiome degli alberi, sbattono le persiane. Poi da una porticina esce un bambino di cinque anni. Africano. Si infila in un’altra porticina e scompare. Ti chiedi se l’hai visto davvero. Chissà. La campana suona le cinque. Per chi? 

A Roccaverano c’è la famosa robiola, c’è un pittore inglese, c’è perfino una giornalista di “Report”, ci sono colonie di svizzeri post-hippy. È la capitale della Comunità Montana della Langa Astigiana. Qui siamo alti sul livello del mare e il mare quasi lo vedi. Le strade sono tutte ripide, si sale verso una piazza, c’è un ristorante dignitoso, a pranzo mangi benissimo con due lire. Esiste anche uno strano Municipio in stile razionalista che vale la pena di vedere come esempio di stranezza urbanistica. Sarebbe anche bello scrivere come si è arrivati a progettare e a realizzare un edificio – che starebbe bene in un’area postmoderna di Parigi – proprio lì, a Roccaverano, dove una baita sarebbe stata più appropriata.

Ma se invece si vuole stare a fondovalle, consiglio la strada per il mare e non quella verso Acqui. Acqui è in pieno Monferrato ed è una cittadina di ventimila abitanti. Il look di Acqui richiama quello di città termali mitteleuropee come Baden Baden e anni di amministrazione leghista non hanno fatto che accentuare queste somiglianze agghiaccianti. Meglio arrivare a Bistagno, superare i binari della linea ferroviaria, e girare a destra, verso paesi come Montechiaro e Denice (dove si mangiano i funghi migliori della zona), Mombaldone (bellissimo, medievale, sconosciuto), Spigno (il ponte romano), Merana (paese di frontiera, lì si interrompe il Piemonte e sembra un villaggio del west), Piana Crixia (provincia di Savona, la focaccia dei miei sogni), Dego (il viale, la gelateria). Sono anche zone in cui il gioco del pallone elastico, o pallapugno, è stato praticato a grandi livelli. Ancora adesso si possono vedere gli sferisteri costruiti una quarantina d’anni fa praticamente in ogni paese, a sostituire le piazze nella funzione di campi da gioco. Appena più in là si entra nell’area di Cairo Montenotte, unico centro urbano di una qualche importanza in questo angolo di Liguria. Cairo è circondata da orribili fabbriche e da ancora più orribili centri commerciali, ma possiede un centro storico degnissimo.

Un tratto di strada tra Acqui e Cortemilia © Daniele Ferrero

Con Cairo può finire anche questo piccolo viaggio, perché poi si entra nell’Appennino vero e proprio, ormai sconosciuto ai più per via dell’autostrada Torino-Savona che taglia dritta (ma non troppo) verso il mare.

Un viaggio, questo, che non rientrerà mai negli itinerari di una guida turistica e nemmeno in qualche antologia letteraria. Per quanto riguarda la mia identità più intima, invece, credo di poter affermare che che se posso dire di sentirmi qualcosa, io posso dire di sentirmi bassopiemontese di ponente, intendendo quei paesi lì, che cominciano da Cassinasco e arrivano a Savona. La mia vera origine canellese non mi ha lasciato niente dentro. Ma basta salire su per quelle curve e ridiscenderne dalla parte opposta per sentire il cuore esultare di una gioia muta e inesprimibile. 

Quando Paolo Conte intona “Genova per noi” mi viene da sostituire “Genova” con “Savona” e allora mi riconosco in pieno. Io sono quella roba lì.

(Questo testo è un estratto dell’ebook “La vita moderna è rumenta vol.1” © Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano. Prima edizione in ZOOM flash, giugno 2012. Ringraziamo Marco Drago e Giangiacomo Feltrinelli Editore per la gentile concessione e Daniele Ferrero per il reportage fotografico).

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