Se io fossi nato in Valle d’Aosta probabilmente di cognome mi chiamerei Randaz, così come mia moglie si chiamerebbe Licitraz, e senz’altro mi piacerebbe essere sepolto nel piccolo cimitero di La Magdeleine, in Valtournenche, accanto a qualche Artaz o Vittaz. Preferirei il cimitero vecchio – non quello nuovo che si trova poco più avanti, all’inizio del sentiero per Promiod – soprattutto perché sorge in un luogo che predispone naturalmente alla pace, circondato da un prato magnifico, e placidamente sorvegliato dalla mole del monte Tantané e da mandrie di mucche che ruminano tranquille. Quest’estate era sempre bellissimo andare a fare un giro da quelle parti e camminare lentamente per il piccolo sentiero che sale appena verso la montagna, fermandosi a un certo punto sotto un piccolo larice, giovane e isolato, che sembrava messo lì apposta per proteggerti dal sole quando fa troppo caldo. E da quella postazione privilegiata osservare lì vicino quello che ho scoperto essere un campo di patate, coltivato così, senza recinzione, con il raccolto da fare a metà settembre, mi ha detto un giorno una signora che era lì con il cane. E ogni volta sentire che tutte queste cose qui – il sentiero, il larice, il campo di patate e il cimitero, soprattutto – erano già state raccontate, in qualche modo e da qualche altra parte, da John Muir, naturalista e girovago, che davanti al bellissimo cimitero di Savannah, in Georgia, aveva scritto che «ci si ritrova nel magnifico vecchio cimitero dell’antica foresta, talmente bello che quasi ogni persona assennata sceglierebbe di vivere qui, con i morti, invece che con i pigri e turbolenti vivi». Come non essere d’accordo?