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Il monastero di Sveti Naum

Fedeli in vacanza a Sveti Naum

Alle sette della sera il monastero di Sveti Naum torna a essere un posto di raccoglimento. Tacciono le grida dei bagnanti che per tutto il giorno hanno affollato la spiaggia all’ingresso, accostata allo stradone alberato che porta al piccolo monastero che si dica sia il più antico di Macedonia, sulla sponda orientale del lago di Ohrid. Tacciono le bande balcaniche – tromba, trombone, violino, tamburo e contrabbasso – che nei ristoranti sull’acqua – dove sul è fisicamente, come una palafitta – hanno animato pranzi che sono diventati merende e si sono allungati quasi a cene. Resti di insalata giacciono sui tavoli, accanto a pezzi di carne grigliata e mai masticata, infiniti bicchieri di rakija e persone visibilmente sfinite ma comunque allegre. Se ne va anche il cameriere scontroso, che adesso finalmente saluta i clienti, e scappa a casa pure la ragazza del turno di giorno, che ammazza il tempo ascoltando Eros Ramazzotti nella reception dell’albergo tre stelle, ricavato in epoca socialista dove per dieci secoli vivevano e pregavano i monaci dalla barba lunga. Rimane un manipolo di turisti che non sa forse neanche perché ha scelto di dormire qui, a tre chilometri dal confine albanese, sopra una delle sorgenti sotterranee di questo lago immenso, chiaro, trasparente, circondato di montagne in alto brulle, in basso coperte di alberi piccoli e macchia fitta. Rimane l’unico monaco, un uomo che diresti anziano ma forse non lo è, con la sua barba bianca lunga e disordinata, che ha passato tutto il giorno nel gabbiotto a riscuotere i biglietti, 150 dinari per gli stranieri, 120 per i macedoni, gratis per bambini, studenti e persone a caso che non hanno l’accortezza di fermarsi a pagare. Rimane la signora delle pulizie che con l’aspirapolvere rassetta la piccola chiesa di mattoni, affrescata all’interno di figure di santi imbronciati ed emaciati, rallegrati solo dall’aureola di ordinanza. Da qualche parte nel bosco, oltre il campeggio di roulotte anni Ottanta, oltre la modesta residenza del metropolita di Macedonia, rimangono anche i militari accampati a far esercitazioni estive sul confine un tempo blindato con Pogradec, Albania, destinazione preferita per le vacanze di Enver Hoxha. Nel silenzio che sopraggiunge insieme al buio pieno si sentono solo le onde di questo finto mare macedone, delle rane che saltellano senza paura e qualche ultimo saluto in lontananza. Dobro nok.

Foto © Tino Mantarro
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