Frazione di una frazione, è praticamente una curva, Pont du Loup. Del viadotto, che virava sulla vallata, e del fumo dei treni che la sorvolavano, dopo l’ultima guerra restano i piloni. Loup è il torrente che, come denti, li risciacqua senza levigarli. I turisti lo discendono in canoa, oppure visitano il giardino che vi si affaccia. Comunque si ripromettono di tornare in un’altra stagione. Allora entrano da Florian, la confetteria. Se vogliono anche nel laboratorio, dove petali vengono ridotti in glassa. Giacciono su vassoi che commessi indicano sorridendo. Qualche cliente li informa di essere preso per la gola. Può darsi che un raggio di luce s’infili dalla Costa azzurra, attraversi la finestra e brilli su un neo senza che se ne avveda. O può essere che la voce della cassiera somigli a quella del rombo della cascata e il “torni presto a trovarci” a una minaccia in occitano. In cima a una rampa, attraversando un cancello con sopra una scritta in ferro, dalla confetteria finalmente si sortisce. All’angolo, per francesi che vogliono sentirsi in Italia pur evitandola, un bar offre delle lazagne, un altro si chiama bacho. Di fronte un rudere viene assalito dai rampicanti. Di sera la luce di un lampione pare mandarne in frantumi i vetri, di mattina una madame seduta tra i calcinacci del ballatoio vi legge il giornale. Sbiadisce, all’entrata, la scritta HOTEL. La concorrenza, poco oltre, ha il nome dell’abitato, o viceversa. All’entrata il titolare informa che in caso di necessità lo si può chiamare, e che non risponde. Accanto, il volto della sua signora resta in ombra da qualunque angolazione. Forse è per via delle pareti delle montagne a picco, o perché a chi si lamenta dei prezzi risponde che la colpa è della democrazia.