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Una rosa per Mastroianni

Nel quartiere Tiburtino duemila anni fa sorgevano le Catacombe di Santa Ciriaca. Anche se tutti le conoscono come catacombe di San Lorenzo, perché si trovano sotto la Basilica di San Lorenzo fuori le mura. Ma non sono venuta per la storia romana: sono arrivata per portare una rosa a Mastroianni che qui riposa vicino a molti artisti e intellettuali che hanno reso la nostra storia un po’ meno grottesca. Quattro grandi statue mi accolgono all’ingresso del Cimitero del Verano: la Speranza, la Carità, la Meditazione e il Silenzio. Varco la soglia sotto un ombrello scassato che non regge una pioggia violenta che non si vedeva da anni a Roma, così violenta che dai suoi lunghi viali sembra siano stati sciacquati via i colori più forti. Sepolcri e cappelle in stili e forme diverse si susseguono negli ottantatré ettari del cimitero comunale monumentale Campo Verano: lungo tratti pianeggianti e in cima a piccole colline, raccontano Futurismo e Liberty, Simbolismo e Realismo e molto altro ancora. Ovunque gli smalti funerari di Filippo Severati, il pittore del Verano, dipinti su lava nell’Ottocento, hanno sconfitto i secoli consegnandoci una raffinata galleria della borghesia romana di allora. Visitare un camposanto, però, va ben oltre l’idea della fugacità della vita e del passare del tempo: entrare in un luogo come questo, dove accanto alla gente comune riposano anche Vittorio Gassman, Monica Vitti, Leone Ginzburg, Elsa Morante, Rino Gaetano, Vittorio De Sica e tanti altri, è un ultimo gesto di ringraziamento. Non sono infatti mai riuscita a incontrarli, ma a più riprese la loro arte mi ha fatto compagnia, mi ha resa felice, forse migliore, sicuramente orgogliosa, anche se non saprei bene spiegare di cosa. Quindi eccomi qui davanti alla lapide semplice di Marcello, in marmo rosso, senza epitaffi o architetture eclatanti. Appoggio la mia rosa e alzo lo sguardo perché l’ennesimo aereo traccia una riga nel cielo nuvoloso, lasciando Ciampino. Mi piace pensare che da lassù sia questo il cenno di saluto di cui mi omaggia Snàporaz.

Foto © Vanessa Marenco
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