Rivista di luoghi, storie e altro

Passeggiando per Logodi utca

Aspetta, come cominciare, come spiegarlo
Conosci la mia casa
e se ricordi
la mia camera da letto saprai
quant’è misera e deserta a quest’ora e da qui
la via Logodi,
dove abito.
da “Ebbrezza all’alba” di Dezső Kosztolányi (1885-1936)

Poco battuta dal traffico, frequentata per lo più dai residenti, Logodi utca (via Logodi) corre su un declivio di Buda, la parte più antica di Budapest, che si estende sulla riva ovest del Danubio. Siamo nel rione Krisztinaváros, città di Cristina, primo distretto. Qui è nata Buda, che con la sua Fortezza per secoli è stata l’insediamento magiaro più importante. Nel 1873 dalla sua unione con Óbuda e Pest nasceva Budapest, una delle capitali più vivaci a cavallo fra Ottocento e Novecento.  

Dall’elegante e verde viale Attila, che serpeggia lungo quel grande polmone verde ricco di storia che è Vérmező, il Campo di Sangue, ripide e romantiche scalinate portano su in cima allo storico rione della Fortezza. Salendo le scale si incrociano due vie a due diversi livelli. La prima è via Logodi, che prende il nome da Logod, un villaggio scomparso già durante la dominazione turca dell’Ungheria nel Cinque- e Seicento. Nei decenni successivi la zona portava il nome di Garten (“giardino” in tedesco), ed era nota per le sue vigne. Nell’Ottocento venne elevata al rango di via  per commemorare una località dimenticata. Via Logodi è lunga e stretta e corre parallela a viale Attila. Gli edifici eretti sul lato che guarda giù, su via Attila, si poggiano su un barbacane per evitare lo smottamento. In alcuni punti si apre un vasto panorama sul monte Gellért (che in realtà è soltanto una collina) e su uno dei simboli della capitale ungherese, la Statua alla Libertà.

Scalinata Zerge (Foto © Norbert Juhász)

Ho fatto le scuole in viale Attila e molti dei miei compagni abitavano nella silenziosa via Logodi. Era un microcosmo di stabili con giardini interni e segni evidenti del tempo e della Seconda guerra mondiale, con qualche terreno abbandonato che prima dei bombardamenti ospitava palazzetti con giardino e vista panoramica. Quand’ero bambina c’era persino un rustico campo da tennis. Negli anni Sessanta Logodi utca ricordava una piccola città patinata di provincia, eppure pochi metri più in là pulsava il traffico, anche di mezzi privati, benché all’epoca ancora trascurabile.

Logodi utca negli anni Sessanta (Foto © Fortepan.hu)

Il dignitoso silenzio della via nasconde tante storie. Come quella raccontata da un compagno di classe sulla sepoltura della nonna in giardino in tempo di guerra. E altre affascinanti che riguardano grandi figure della letteratura ungherese che avevano scelto di comprarsi casa in via Logodi, perché attratte dalla riservatezza della via e allo stesso tempo dalla vicinanza della Fortezza, fra le due guerre sede anche di uffici pubblici. Inoltre da qui si potevano guadagnare agevolmente i caffè dove si riunivano gli intellettuali.

Dezső Kosztolányi è uno dei più grandi poeti e scrittori ungheresi di tutti i tempi. Nel 1916 prese in affitto una camera in via Logodi, l’anno dopo vi acquistò una casa, dove morirà nel 1936. La via e la sua casa compaiono non solo nella poesia citata in epigrafe, Ebbrezza all’alba, ma anche nella Canzone felice, triste, e soprattutto in un cameo del suo romanzo più famoso, Anna Édes, un capolavoro disponibile anche in italiano. Sfortunatamente la guerra ha cancellato la casa di Kosztolányi, tuttavia oggi la ricorda una targa, e c’è persino una foto della rivista Szinházi élet (Vita di teatro) del 1933 che raffigura Kosztolányi con Frigyes Karinthy, un altro mostro sacro della letteratura ungherese, in via Logodi.

Karinthy e Kosztolányi in via Logodi (Foto © Sconosciuto)

Il poeta Gyula Juhász (1883-1937) non abitava in via Logodi, ma è in qualche modo legato a questa strada. Nel 1907, quando tentò il suicidio dal ponte delle Catene sopra il Danubio, fu salvato da Ilona Klima, un vecchio amore ginnasiale. La ragazza lo condusse nel proprio appartamento in via Logodi, e per rincuorarlo gli mostrò una copia della sua prima antologia di poesie. Alla morte di Ilona Klima appena trentaduenne, Gyula Juhász le dedicò queste righe: “Sotto la luna di via Logodi, al tremolio della luce gialla e verde dei lampioni a gas, con fievoli musiche in lontananza, torna la memoria del giorno più triste e più bello della mia gioventù. Penso a una donna cantata dai poeti, amata dai cantanti, che un giorno mi riportò in vita dalla ringhiera del ponte delle Catene”. 

In italiano il nome del poeta, scrittore e traduttore Mihály Babits (1883-1941), amico di Kosztolányi e Juhász, compare solo in qualche edizione molto datata, ma in Ungheria i suoi versi, i suoi romanzi e la sua traduzione della Divina Commedia, all’epoca premiata anche dallo Stato italiano, sono ancora molto letti. Seppure brevemente (morì un anno dopo) anche Babits è stato inquilino di una casa di via Logodi, come oggi ricorda una targa. 

Il busto di Sándor Márai (Foto © Dorina Dalsay)

Sándor Márai, scrittore piuttosto amato anche in Italia, abitava in un palazzo all’angolo fra via Logodi e via Mikó. L’edificio non c’è più, è andato distrutto anch’esso sotto le bombe. Nella sua Orazione funebre composta in esilio a Posillipo nel 1951, Márai evoca il paesaggio a lui tanto familiare, un ricordo che lo accompagnerà nei quattro decenni lontano dall’Ungheria: Stringi a te il tuo fagotto, i tuoi stracci, i poveri /Ricordi: le foto, una poesia, una ciocca di capelli/Quel che è rimasto. Puoi contare uno dopo l’altro, grettamente/I castani di via Mikó, tutti e sette. Dopo Ferenc Molnár, che si è guadagnato l’immortalità in tutto il mondo con il suo I ragazzi di via Pál, nella classifica degli autori magiari di fama internazionale c’è senz’altro Márai, negletto in patria in epoca socialista/comunista in quanto scrittore borghese, ma riscoperto dopo la caduta del Muro e ricordato con una targa e il busto di Gyula Gulyás (2001).

Anche il conte Zsigmond Széchenyi, instancabile giramondo e cacciatore, popolare autore di diari di viaggio e avventure (nonché discendente di una delle famiglie storiche che fra gli altri ha dato all’Ungheria il costruttore del ponte delle Catene e il fondatore del Museo Nazionale), abitò in via Logodi. Un altro ricordo aristocratico della via è il busto della contessa Teréz Brunswick (1775-1861). Allieva di Johann Heinrich Pestalozzi, fondò nel 1828 a Buda il primo kindergarten della monarchia asburgica. Le pareti ferite ricoperte di vite americana, le finestre scalcinate, i gradini malfermi delle scalinate e i terreni disabitati compaiono ormai solo nelle vecchie foto. Logodi utca non ha più un metro quadrato libero, è tutta edificata, fortunatamente in maniera armoniosa. Le nuove costruzioni non sono alte e la vegetazione è stata rispettata. Le scalinate sono ancora costeggiate da ippocastani, sui davanzali ci sono ancora i gerani e l’atmosfera di un tempo si conserva quasi intatta. Il panorama è rimasto arioso: da un lato lo sguardo sale fino alla Fortezza, dall’altro scende, si posa sul parco e arriva fino alla stazione Sud. Una felice e fortunata unione del vecchio mondo con il nuovo. 

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