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Un piccolo rifugio a Paros

Ogni partenza risponde a una necessità, ogni destinazione in fondo porta in sé la promessa di un rinnovamento, anche piccolo, ma non per questo di poco valore. La scelta di un’isola greca, Paros, nel cuore delle Cicladi, è determinata dalla sua caratteristica più ovvia, dalla sua limitatezza, dalla sua portata ben definita nello spazio. Dalla necessità di avere intorno confini chiari. Un luogo circoscritto, per non perdersi e per ritrovarsi. Un luogo per sua natura circondato dal mare, forte, capace di rimettere tutto nella giusta prospettiva. Nella definitezza di un’isola non smanierò per allontanarmi, non mi sentirò irrequieta, c’è la geografia a contenermi, a darmi limiti naturali e rassicuranti. Tuttavia, per quanto un’isola possa essere piccola, sarò sempre incapace di esplorarla per intero. In termini sia fisici e geografici, che emotivi. Per questo anche su un’isola c’è bisogno di trovare il proprio rifugio. Mi innamoro, dentro l’isola, di un luogo al di fuori dei circuiti turistici, essenziale, senza negozi e l’eccesso di passaggio che anche ad aprile anima i principali villaggi. Un luogo da scegliere come si sceglie un nido, una protezione. Lontano dalla mondanità della vicina Naoussa, raggiungo per la prima volta un piccolo porticciolo vicino a casa, Ampelas (o Ambelas, a seconda di come si voglia traslitterare dal greco). Ci si arriva dopo aver percorso una strada diritta che scende verso il mare, ad est.

Foto © Silvia Ventura

In questa stagione le case che si affacciano sulla strada sono ancora disabitate, segno di un’isola ormai preda del turismo come unica via di riscatto di una popolazione martoriata dalla crisi economica. Sulla destra, poco prima di fare ingresso nella piccola rotonda antistante il porticciolo, c’è l’insegna della Taverna Ventouris. Non è ancora aperta. Solo percorrendo la strada in senso contrario ci si accorge che i suoi tavoli hanno inglobato una delle centinaia di piccole cappelle che si incontrano sull’isola. Tutte bianco calce, tutte con il tetto azzurro sovrastato da una piccola croce greca anch’essa tutta bianca, immacolata. Un vecchio signore sale su una scala, appena appoggiata al muro, per sistemare le campane della cappella. Immagino un tempo diverso, uomini e donne che si muovono seguendo ritmi calmi, guidati dal vento, rallegrati dal vino, immersi nella nitidezza di colori senza sfumature.

Una volta alla piccola rotonda, eccolo, il mare: blu, agitato da un vento freddo, si staglia di fronte ai miei occhi, appena coperto dal piccolo approdo antistante. Il porticciolo restituisce immagini e sensazioni sottratte al tempo, di epoche salvate dalla frenesia della Storia, non scalfite dai ritmi nevrotici delle città. Nella mente affiorano belle fotografie di pescatori curvi sulle reti, stanchi di una notte passata a scrutare l’orizzonte, facce raggrinzite dal sole. Taverne che si aprono con tutta la dolcezza di chi è pronto a prendersi cura di te. Gesti ripetuti. Gesti che rimandano alla fatica e alla gioia, a emozioni lontane. Il momento ideale per godere dell’atmosfera antica di questo piccolo luogo affacciato sul mare, senza chiasso, è il tramonto. Il sole cala ad ovest e la sua luce bassa illumina un orizzonte nitido, senza sorprese. I colori, spazzati e puliti da un vento che non dà tregua, sono netti, forti, forse anche indelicati. L’impressione è quella di un mare che ti sovrasta, che ti chiede di stare zitto ad ascoltare la sua voce e quella del vento. Non riesci a staccare gli occhi da quella linea che separa il mare dal cielo, scruti le piccole onde bianche per scorgere il tuffo di qualche animale, sai che potresti rimanere lì all’infinito, mentre i pensieri vagano e si confondono. Ti lasci sorprendere da quel che la mente crea immersa in tanta bellezza.

Foto © Silvia Ventura

Ampelas finisce qui, sul suo stesso porticciolo, una piccola spiaggetta, alcune taverne affacciate sul mare. Thalami è la mia preferita, un’autentica – tra le poche rimaste sull’isola a dire il vero – taverna greca, qualche tavolino bianco fronte mare, un’ampia area coperta al di là della strada. Le portate sono abbondantissime, rustiche e gustose, il vino bianco o rosé è fresco e rigorosamente portato in caraffe di vetro, versato in piccoli bicchieri trasparenti, fatti apposta per bere il vino della casa. Sono sola e mi sento a casa. Ci ritorno più volte, coccolata dalla gentilezza del personale, ostinata nel voler pranzare fuori anche sotto le raffiche di un Meltemi che scompiglia i pensieri e spegne anche il calore del sole di mezzogiorno. Sotto, al di là del parapetto che protegge l’area del pranzo, si posano distese di fiori fucsia che scendono verso un mare già profondo, di un blu sconfinato, che si rompe solo sulle coste della vicina Naxos.Stare fermi, in ascolto del vento, nell’osservazione dei movimenti lenti e sicuri dei pescatori che sistemano le loro imbarcazioni, in attesa che cali il buio per potermi rintanare da Thalami a scrivere, prendere appunti, fissare nella mente ciò che in realtà solo i sensi possono ricordare per davvero. Il gusto di un fagottino di pasta fritta, crema di formaggio e gamberi. Il suono del vento freddo. L’odore di un mare vicino. Il colore bianco e blu di una piccolissima cappella lungo la costa. Eccolo, il piccolo rifugio dentro l’isola.

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