Rivista di luoghi, storie e altro

La storia inquieta della stazione di Nova Gorica

Muoversi fa parte della natura stessa del treno. Di fronte alle locomotive in corsa il paesaggio muta, le valli diventano pianure poi colline e poi di nuovo montagne, le città si susseguono una dopo l’altra. I treni di rango maggiore cambiano provincia, regione, ogni tanto valicano i confini ed entrano in un altro paese. Questa però non è certo una prerogativa delle stazioni, loro invece sono un po’ il simbolo della staticità per eccellenza. Per garantire ai propri cittadini una via di fuga verso il resto del mondo se ne stanno lì ben fisse al loro posto. C’è però una stazione, su quella linea che fino all’inizio degli anni Novanta segnava la separazione tra due mondi, che si fa un baffo di questa regola aurea. Una stazione che in poco più di 100 anni, senza mai muoversi di un millimetro, ha cambiato nome, lingua e ha visto sventolare sulla propria facciata le bandiere di 5 stati diversi. Non c’è nessuna enciclopedia che lo riporti, ma si tratta probabilmente della stazione più internazionalmente fluida d’Europa. Il suo indirizzo è Piazza della Transalpina, o Trg Evrope (piazza Europa), dipende da che lato la si guarda. Oggi è la stazione di Nova Gorica, Slovenia.

La sua storia inizia nel periodo austroungarico, quando emerge la necessità di avere una linea per collegare le terre dell’Austria, della Boemia e della Moravia al loro porto principale: Trieste. L’opera è ambiziosa, tanto che non si tratta di una sola ferrovia, ma di un complesso di ferrovie che giungerebbe sulle rive dell’Adriatico dopo aver intrapreso un percorso tortuoso. Il punto iniziale viene individuato nella città di Budweis, oggi Ceske Budejovice in Repubblica Ceca, e da lì i binari si sarebbero snodati tra le alpi austriache nel complesso di un programma che – manco a dirlo – viene chiamato Alpenbahnenprogramm, ossia Programma delle ferrovie alpine. 

Nel giugno del 1901 viene firmata la legge che dà il via i lavori, e nel 1906 l’Arciduca Francesco Ferdinando – proprio quello che, come dicono tutti i sussidiari, viene ucciso a Sarajevo nel 1914 provocando l’inizio della Prima guerra mondiale – inaugura la tratta più meridionale, tra Trieste e la città di Jesenice, oggi in Slovenia. E proprio su questa tratta si trova la camaleontica stazione di Nova Gorica, che viene aperta il 23 luglio del 1906. 

Foto © Marco Carlone

A “Görz Staatsbahnhof”, come viene chiamata, si posano nove binari di corsa, e viene eretto un nuovo deposito per ospitare fino a 23 locomotive. Presto, però, scoppia la Prima guerra mondiale, che colpisce pesantemente quest’area: basti pensare che l’Isonzo scorre a circa un chilometro dalla stazione e Caporetto, quella della disfatta, dista 50 chilometri. L’artiglieria italiana bombarda la stazione e il deposito, e dopo la fine delle ostilità Gorizia viene annessa al Regno d’Italia. Gli stessi che l’avevano appena ricoperta di bombe si ritrovano così con i binari dal proprio lato, e ricostruiscono l’edificio, cambiandogli nome: sparisce il tedesco e compare l’Italiano: Gorizia Nord. Ma non c’è tempo nemmeno per abituarsi alla nuova situazione storica che scoppia la Seconda guerra mondiale. Altro giro, altra corsa ecco una nuova bandiera, la terza a sventolare sui binari. Le Ferrovie del Reich Tedesco prendono possesso della stazione e la sfruttano molto spesso anche come punto di partenza dei treni diretti ai campi di concentramento di Auschwitz, Mauthausen, Terezin e dall’altro lato alla Risiera di San Sabba. Anche la croce uncinata dura poco, giusto un paio d’anni. Alla fine della guerra, nel 1947, i territori orientali della provincia di Gorizia passano nuovamente di mano, questa volta a un nuovo attore, la Jugoslavia, che si affaccia al dopoguerra guidata dal Maresciallo Tito. Il trattato di pace firmato a Parigi per regolare i confini sceglie i binari come linea di separazione tra Italia e Jugoslavia. Ed è compresa, ovviamente, la grande stazione, che diventa gigantesca per una Nuova Gorizia che è ancora tutta da costruire. La quasi totalità di quello che era il centro urbano di Gorizia rimane infatti in territorio italiano, e la stazione diventa praticamente l’unico edificio storico della nuova città jugoslava, il punto da cui ripartire. 

Foto © Marco Carlone

È quello il momento in cui, proprio sul piazzale che precedentemente garantiva l’accesso al fabbricato viaggiatori, viene eretto un muro, anzi un muretto se confrontato a quello di Berlino, ma non per questo meno significativo. Diventa una linea di separazione tra due modi diversi di intendere il mondo: da una parte “l’Occidente”, dall’altra il socialismo. Fin dal 1947 in cima al tetto della stazione viene issata una grande stella rossa. Lì in alto tutti la possono ammirare. Sotto, un grande cartello dice “Rafforziamo la fratellanza e l’unità dei popoli”. Un messaggio di coesione quantomai fondamentale per l’epoca, soprattutto per uno stato che si apprestava a tenere insieme sei repubbliche molto diverse sotto il profilo geografico, linguistico e religioso. Ma il cartello non viene rivolto verso i binari e la città nascitura, bensì dall’altro lato, quello che si affaccia verso gli ex concittadini. La stazione di Nova Gorica diventa una sorta di banner pubblicitario per chi si vuole affacciare sul socialismo. 

Foto © Marco Carlone

Negli anni Cinquanta quella frase sulla stazione cambia, diventa “Mi gradimo socijalizam” (“Noi costruiamo il socialismo”). Dopo essersi distaccata dai paesi del Patto di Varsavia, la Jugoslavia imbocca la propria via del socialismo, e tiene a farlo sapere a chi sta dall’altro lato. Il tempo passa e i messaggi si fanno via via più sbiaditi: negli anni Settanta la frase viene tolta, rimane solo la stella, e poco dopo avviene anche l’ultimo cambio di bandiera. I colori rimangono quelli, ma la stella jugoslava scompare sull’orizzonte e viene sostituita da un piccolo scudo con una montagna a tre punte. È il Triglav, il Monte Tricorno, simbolo della nuova Repubblica slovena nata dallo sfarinamento della Jugoslavia.

Gli anni Novanta irrompono con tutta la loro onda kitsch. La stella, rimasta da sola a ricordare i tempi jugoslavi, nel natale del ’91, l’anno dell’indipendenza, viene agghindata a festa per il periodo natalizio e viene trasformata in una cometa, prima di venir tirata definitivamente giù. È un po’ l’antipasto del nuovo corso imposto dalla cattolica Slovenia, che tenta di smarcarsi dal pesante predecessore.

Foto © Marco Carlone

Poi, nei primi anni Duemila, è tempo di entrare nell’Unione Europea. Cadono molti muri, e uno di questi è quello che divideva in due piazza Transalpina. Nell’aprile 2004, sulla piazza che era stato simbolo della divisione tra Italia e Slovenia/Jugoslavia viene celebrato un grande concerto per salutare l’ingresso della Slovenia nell’UE. Oggi sul solco lasciato dalla barricata c’è solo una striscia di pietra di un altro colore, in mezzo una piastra di metallo che indica due date: 1947, quando la piazza venne divisa, e 2004, quando tornò alle origini. In mezzo il numero 57/15, che indica il cippo confinario che ora è spostato a lato della piazza. 

Oggi cosa c’è nella stazione di Nova Gorica? Nemmeno a dirlo, il museo del confine. La chicca è l’ormai celebre stella rossa che stava in punta al fabbricato viaggiatori. Aprendo l’altra porta, quella che dà sul piano binari, ci si trova di fronte a lunghi treni merci in attesa di ripartire verso l’Austria. Poco più in là vecchie automotrici di costruzione FIAT portano i passeggeri sul Carso sloveno che si spalanca alle spalle di Trieste oppure, nella direzione opposta, attraverso le Alpi Giulie. Vale la pena prenderle entrambe.

Condividi