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Piazza Gaddi

All’ora di punta, con quel chiasso e quella pendenza, più che una rotonda, piazza Gaddi a Firenze ricorda un tagadà. Chi la impegna passando in una sterzata dal centro alla periferia, oppure l’attraversa da San Frediano diretto all’Isolotto, deve avere innanzitutto equilibrio. Ce ne vuole per non finire stritolati dal congegno di vetture che la percorrono o per contendersi uno strapuntino sul cordolo dello spartitraffico e non slittare ai margini, vittime della forza centrifuga. Col rischio di avvitarsi in quella che gli stradari spacciano per snodo viario e invece può rivelarsi una spirale. Come nell’hockey e nella vita, tuttavia, a piazza Gaddi l’equilibrio è necessario ma non sufficiente: senza doti sociologiche da quel girone non se ne esce. 

Più che a una “o”, la rotonda di piazza Gaddi, con due biforcazioni ai lati del ponte che la sovrasta, somiglia a un’omega. La sua mappa, pertanto, non può che farsi interiore. Se la si vuole imboccare e non, viceversa, esserne inghiottiti, bisogna conoscerne il carattere di ogni tentacolo, o meglio di chi lo percorre.  Dal ponte, intitolato alla Vittoria, vi si accede in discesa, un po’ di sorpresa, perché lo sguardo si attarda verso il fiume. Si può svoltare immediatamente a destra, verso lungarno Pignone. Manovra da codardi o lungimiranti, a seconda che svicolare equivalga a sottrarsi alla lotta o alla pazza folla. La parallela è via del Pignone. Insieme a via Bandinelli la coppia di stradine forma una specie di borgo. Chi vi si dirige è spesso reduce da traversate intercontinentali: il fiume non deve fargli paura neanche quando trasforma in argine il marciapiede. Un kebabbaro, all’angolo, come ipnotizzato dal vorticare della carne e dalle lamiere, funge quasi da dogana. 

Foto © Luca De Feo

Ce n’era una davvero, un secolo fa, lungo la diramazione successiva in senso antiorario: via Vanni. Farci passare un’automobile costava quanto il transito di una quarantina di maiali. L’arteria, a seconda del senso di percorrenza, conduceva verso Pisa, Livorno, o Pistoia; ora, superata una loggia che un tempo doveva affacciarsi su un’aia e adesso su un parcheggio, porta ai palazzoni di Scandicci e oltre. Ossia verso casa, per quasi tutti quelli in coda già dalla rotonda, dove si tiene il torneo per guadagnare la corsia di sorpasso. In direzione contraria scorre la via intitolata a Bronzino, soprannome di Agnolo di Cosimo, un passato da pittore e un presente da capro espiatorio: è rivolgendosi alla placca col suo nome che gli impiegati imbottigliati imprecano per il ritardo. 

Rabbiosi, usi a una guida da tangenziale, gli automobilisti che passano di lì fronteggiano piazza Gaddi con brutalità. Ma è fantasia, intuizione, colpo d’occhio e velocità d’esecuzione quello che richiede una rotonda. Genio, insomma, secondo la definizione di un film girato da queste parti. Tanti di quelli che inveiscono e strombazzano ne sono sprovvisti. Sprecano così la rendita di posizione conferitagli dalla precedenza. Potrebbero optare per costeggiare il centro del disco ed elemosinare poi un varco con la freccia. Altrimenti abbordare il circolo dall’esterno, prendendola larga, sormontarlo intralciati dal flusso di quelli che vi si immettono dalle altre entrate. Invece, in genere, quelli che vengono da via Bronzino si accodano. 

Foto © Luca De Feo

Il primo innesto in cui si imbattono è quello di via del Ponte Sospeso. Se non ci fosse la rotonda, arriverebbe dritta al ponte della Vittoria, vittima dei bombardamenti tedeschi ma almeno scampato all’architetto Calatrava. Per quelli che vengono da lì, dunque, il semicerchio che sono chiamati a tracciare attorno all’aiuola della rotonda non è che una seccatura. Poco prima magari correvano a petto in fuori sul rullo della palestra davanti a uno schermo, dentro la vetrina del civico 6, e adesso si ritrovano in una realtà che non sanno come gestire. Il giungere in piazza in modo perpendicolare, oltretutto, li costringe a cedere il passo a coloro a cui la scomodità dell’accesso attribuisce una specie di abbrivio. È il solito arrivismo dei provinciali: i borghesi di via del Ponte Sospeso lo patiscono e si spazientiscono. Sfugge loro, peraltro, il ribaltamento di prospettiva: in quel punto il tracciato smette di scendere e prende a salire, offrendo per un attimo ai parabrezza, come su un ottovolante, nient’altro che cielo.  

Quelli che arrivano da Oltrarno di fretta non ne hanno. Ebbri non di rado delle sostanze assunte la sera prima, dilatano la percezione di tempo e spazio. Lo stesso, in fondo, che fanno con le botteghe artigiane che trasformano in open space e gallerie d’arte. Bugigattoli molto cool con vista gazometro. La curva di via della Fonderia che li costringe a fare ingresso nella rotonda con una partenza in salita farebbe saltare nervi e frizione a chiunque, tranne che a loro e alle loro utilitarie.  

Foto © Luca De Feo

Insieme a uno spicchio di verde trovano alla loro destra la traversa che costeggia l’Arno, via Sogliani. Annunciata dagli sfregi a un cartellone publicitario, priva di negozi, cinta da siepi di alloro e lattine, insomma al riparo dal decoro, si presta a una pennichella  sulla panchina.

La prima e l’ultima uscita, il nord e il mezzogiorno del quadrante, è il ponte. Delle strade che confluiscono in piazza Gaddi è l’unica a doppio senso, come una battuta. Ma non ci trovano proprio niente da ridere quelli che vengono da lì. Rincasano reduci dal centro dopo esserne stati sfruttati negli alberghi, nelle friggitorie, negli uffici, nei negozi. Altri la rotonda la prendono per invertire il senso di marcia. Magari vengono da fuori, si sono confusi, e da dozzine di semafori attendono un’occasione per tornare indietro. Gente che ha preso una strada sbagliata tempo prima e a cui qualcuno molto in alto, o addirittura l’assessore alla viabilità, di una seconda possibilità concede solo l’illusione.

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