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Un quadrifoglio a Witmarsum

Un quadrifoglio è un’anomalia domestica con cui abbiamo incontri occasionali ma non infrequenti, altrimenti non saprei spiegare il mio stupore per il fatto di non averne mai trovato uno in due anni di vita in Brasile. E dire che con occhi, piedi, talvolta mani, setaccio prati, parchi e semplici bordi stradali (da non trascurare), e dire che non mi sottraggo alla ricerca della fortuna, anzi del semplice avvenimento. Sarà che il quadrifoglio è un’anomalia anomala, perché è simmetrico, finalmente riposante e con il suo ordine sfida il dato reale; presenta tratti psicotici.

La colonia Witmarsum, dove ho trovato il mio primo e finora unico quadrifoglio brasiliano, è una destinazione domenicale per coppie, famiglie e gruppi in cerca di una campagna serenamente affrontabile e della conferma che un certo mondo, definito “semplice”, resiste intatto. Si trova a circa 65 km da Curitiba, sul Secondo Altipiano Paranaense, inoltrandosi in direzione opposta rispetto al litorale e salutando con una svolta che sembra una guancia la Rodovia do café Br 277. Riprendendola, si può arrivare al parco di Vila Velha, luogo interessante con buffe formazioni di arenaria a cui il nostro cervello attribuisce forme note: un enorme calice, il muso di un agnello, una fila di torri, un ammasso di rovine, rosate e ferrose, di una città sorta dall’erosione e precedente alla comparsa dell’uomo. Pareidolie, bisogno di organizzazione. Perché raccontare questo? Perché l’area sembra attrarre un certo radicalismo, emanare un magnetismo tellurico che invita alla sperimentazione, al conservatorismo più tenace, all’espressione di tendenze istintuali.  

Foto © Marta Cai

Lasciata l’autostrada, superato il disordine della periferia metropolitana e un tratto in salita quasi montano, la deviazione a guancia attraversa un paesaggio morbido, silenzioso; si slanciano a macchie i candelabri delle araucarie, conifere autoctone e protette, mentre con una certa disinvoltura si coricano campi di foraggio e di soia, leguminosa con un ruolo importante in questa storia. C’è molto spazio e sembra offeso: non si vedono case. È un paesaggio pastoso: visto dall’alto è una sezione di malachite. Proseguendo, si imbocca un corridoio di alberi e giunchi piegati a formare una galleria, per meglio prepararsi all’ingresso in una fiaba, che comincia con casette coloniali, curatissime e distanti tra loro: è l’inizio timido di una comunità. Il clima da queste parti è molto variabile, piovoso e tedesco.

Dicevo dell’area che sembra attrarre il radicale. Dal punto di vista amministrativo, la colonia Witmarsum fa parte del piccolo municipio di Palmeira che ospita, in un altro punto della sua area e all’incirca nel luogo dove sorse, il memoriale della colonia Cecilia, insediamento di anarchici perlopiù italiani, faticosamente attivo tra il 1890 e il 1894. Considero interessante questa coincidenza. Il Paranà, come in generale gli Stati meridionali del Brasile, si popolarono prevalentemente in quegli anni, in ottemperanza a un disegno di “imbianchimento” della popolazione, potendo contare tramite accordi, agevolazioni e somiglianze climatiche, su frotte di contadini tedeschi, polacchi, italiani, ucraini e, in parte, giapponesi. Erano perciò frequenti e sparpagliate le comunità agricole definite dalla provenienza geografica dei coloni, che hanno lasciato tracce evidenti soprattutto nella toponomastica, ma anche nella produzione agricola e nel folclore. 

Queste due colonie, la Cecilia e la Witmarsum, sono come quadrifogli tra trifogli, casi anomali. Benché la prima avesse una popolazione prevalentemente italiana, la sua caratteristica evidente ed esibita era la sperimentazione sociale a base anarchica. Accoglieva volentieri persone di altre nazionalità, purché disposte a vivere il non facile modello libertario; la seconda è altrettanto disancorata dal dato dell’origine territoriale. Definirla “tedesca” è comodo, ma inappropriato. La colonia Witmarsum è principalmente una comunità mennonita: l’origine geografica dei suoi membri non è del tutto accidentale, ma quasi, perché accidentale, e accidentato, è stato il percorso di questo gruppo che di fatto non ha una nazione come punto di riferimento, bensì una comunità di fratelli e sorelle sparsi tra i continenti. Verrebbe voglia di definirlo un insediamento trascendente o un albero con radici aeree. Superate le casette distanti, dall’aria diffidente, e il capannone in pessime condizioni di una chiesa fondamentalista pentecostale che tuttavia sembra attiva, si arriva al cuore-testa dalla colonia, il centro che la sostiene nella sua dimensione temporale e pratica, vale a dire il piazzale con il piccolo museo Heimat (da qualche tempo chiuso al pubblico) la casa a graticcio del negozio di souvenir, l’edificio della scuola e l’impianto della cooperativa agricola con annesso caseificio.

Foto © Marta Cai

Il caseggiato bianco e arancione, embrione della colonia, era in origine l’abitazione dell’antica Fazenda Cancela, acquistata con i suoi circa 7800 ettari nel 1951, grazie all’aiuto delle comunità mennonite nordamericane e canadesi. Come si vede, la storia di questo specifico insediamento è recente, ma non lo è quello della comunità che oggi la abita. Il corpo originario e omonimo della colonia si trova nello stato di Santa Catarina, tra il Paranà e l’estremo meridionale del Rio Grande do Sul. La Witmarsum catarinense nasce nel 1930 con l’arrivo dei mennoniti perseguitati in Unione Sovietica. Dopo un paio di mesi come rifugiati in Germania, paese che da tempo inviava navi di emigrati in direzione Sudamerica, tre gruppi scelgono come destinazione il Brasile. Uno di questi si stabilisce in una valle della Serra Catarinense, terreno difficile da coltivare e che, per conformazione geografica, ne impedisce l’espansione. La necessità di espandersi è il tratto proprio di qualsiasi colonia, la sua spinta naturale e insieme la sua più grande minaccia, a torto e/o ragione, a seconda di chi o che cosa le è possibile inglobare nella sua corsa. Le colonie come Witmarsum e Cecilia, prevalentemente fondate su una comunione di principi, devono tuttavia impegnarsi in un movimento più complicato, muscolare, di distensione e di contrazione per svilupparsi integre come l’organismo di un bambino in crescita che deve mangiare, ma ha molte allergie.

Avere un luogo per poter essere ciò che si è e stare in pace. Se vivere è un’arte di equilibrio tra interiorità ed esteriorità, personalità e contesto, quanto maggiore è lo scarto tra i due poli, maggiore sarà la perenne inquietudine, la probabilità di sbagliare, il rischio dell’anomia e della mancanza di senso, la tenacia dei tentativi per scongiurarlo, la cristallizzazione di presunte identità e la varietà di quelle allucinazioni più o meno controllate che fondamentalmente ci permettono di vivere, perché, citando Eduardo Galeano, “la legge della realtà è la legge del potere”.

Tento di riassumere la storia del girovagare di questa comunità che oggi conta circa 1500 persone, suddivise approssimativamente in cinque raggruppamenti abitativi. Tre, su questo pianeta, sono gli insediamenti umani che portano il nome di Witmarsum. Due sono filiazioni, o tentativi di ricordo, della città originaria dell’attuale Frisia olandese che nel 1496 diede i natali a Menno Simons. I suoi seguaci si raccolgono intorno a principi comunitari e pacifisti. È in particolare questo secondo aspetto a determinarne la necessità di emigrare prima a Danzica, poi, in seguito alle promesse di terre e protezione da parte di Caterina II, in Crimea, entrando nel novero dei “tedeschi di Russia”. Un altro gruppo, circa un secolo prima, accoglie l’invito di William Penn e fonda la città di Georgetown in Pennsylvania. Ma seguiamo il gruppo russo-tedesco, utilizzando una cartina contemporanea: prima l’Olanda, poi la Polonia, ora l’Ucraina e la Russia. La sosta non dura a lungo, il processo di “russificazione” di Alessandro II non li contempla, revocando loro il diritto a non prestare il servizio militare. Molti raggiungono i fratelli statunitensi, che vivono un clima di ampia libertà religiosa; alcuni si uniscono alle comunità più fondamentaliste degli Amish. Il gruppo che in seguito emigrerà in Sudamerica decide di restare in Russia, ma non dopo la rivoluzione bolscevica.  Da questo filo bruciacchiato nasce la Colonia Witmarsum catarinense.

Foto © Marta Cai

L’apoptosi è quel processo fisiologico per cui l’equilibrio di un organismo è mantenuto grazie alla morte regolata e altruistica di alcune cellule. Questo primo insediamento capisce che deve metterlo in pratica. La Serra Catarinense non è in generale per principianti, in particolare non lo è per un gruppo di contadini abituati alla pianura. In sintesi, la sopravvivenza è una sfida che a un certo punto diventa impossibile vincere. Nei primi giorni di settembre abbiamo visitato per terza volta questa colonia, pranzando molto bene nel semplice ristorante di uno degli abitanti originari di questo ramo catarinense che nel 1951 ha scelto di staccarsi per non pesare sul resto dell’albero e rinascere nel Paranà. Questo signore, all’epoca un bambino, non ci racconta molto di quel momento della sua infanzia; l’ha già fatto a un altro tavolo e non ho potuto seguire in dettaglio il monologo, ne ho percepito appena il tono di malinconico riscatto mentre scioglieva una sequenza di sfortunatissimi eventi, storici e personali, che però non hanno impedito alla sua mamma sempre piangente di salvare la salute di un suo fratellino sempre malato. Per il nostro tavolo – è un ottimo oratore – sceglie le vicende della sua vita adulta. Nel suo racconto in portoghese individuo un accento particolare e un’intonazione che lo fa somigliare al veneto. Quando usa la seconda persona plurale (poco usata dai brasiliani, che preferiscono il nome collettivo a gente coniugando il verbo alla terza singolare), la desinenza -mos è pronunciata senza la -s (falamo, comemo, vamo), mentre la -r intervocalica è forte e vibrante, diversa dalla retroflessa tipica dell’interior paranaense (e, curiosamente, piemontese: sono inseguita). Un brandello di conversazione circa la sua infanzia che sono riuscita a carpire è sulla lingua dei genitori usata quando non volevano farsi capire dai bambini, ossia il russo. In condizioni normali, si parlava il plattdeutsch, o un tedesco più o meno standard e veicolare, per collegare le diverse provenienze della comunità (come nel caso del talian, dialetto veneto “spurio” nato tra i primi immigrati italiani, in larga parte provenienti dalle regioni settentrionali).

La casa che ora ospita questo ristorante non ha l’aspetto delle prime abitazioni che si incontrano arrivando da Curitiba. È più frugale, in mattoni. Del legno fa un uso virile: niente gelosie imbiancate con intarsi a cuore. L’impressione è quella di un locale di sosta per rifocillare cavalli e cavalieri. I cavalli oltretutto ci sono, nel terreno alle spalle del caseggiato, dove il signor Erich ci accompagna e ci rivela la parte più preziosa del lotto di 50 ettari originariamente assegnato alla sua famiglia pioniera: un raso ruscello con una piccola cascata, in cui entriamo e scivoliamo, con lui, su rocce ferrose. Il terreno è importante, il suolo determina il carattere del luogo. Quello della Witmarsum paranaense è arenoso e stanco, inerte e con diritto di esserlo, se si osservano la estrias glaciais, gli affioramenti rocciosi rigati dai segni di una glaciazione precedente alla separazione dei continenti. Non viene voglia di pretendere molto da un luogo che ha già vissuto così tante venerabili esperienze. Cosa fare? Ecco che si accende la lampadina frisona, tra queste chiazze di pietra che sembrano placche di cute secca: latte, mucche da latte. Se questo morbido altipiano raggiunge quasi i mille metri e se tutto, colonie olandesi del circondario comprese, sembra far pensare a buoni pascoli, è scoperta l’economia del luogo, la centrale del sostentamento comunitario, la missione della cooperativa a cui i membri devono e vogliono aderire. Anche Erich cresce grazie al latte e grazie al latte sostenta a sua volta la famiglia. Ma non fa l’allevatore. Nonostante la sua poca scuola, dice, si fa venire un’idea. Inventa un macchinario per il raffreddamento rapido del latte, condizione molto importante per la sua conservazione e commercializzazione. Ci mostra un opuscolo dalla grafica antiquata con le immagini e la scheda tecnica della sua invenzione. Lui avrà poca scuola, ma sua figlia è laureata e nessuno può dubitare che il macchinario abbia contribuito a questo processo educativo ascensionale. Percorrendo con un indice dall’unghia scheggiata il perimetro rettangolare del macchinario nella foto, ribadisce la pochezza della sua scuola. Ma non è del tutto senza, l’istruzione è una priorità per i mennoniti e infatti la scuola è stata costruita dopo appena un mese dall’insediamento. Attualmente, il curriculo è in lingua portoghese e comprende alcune ore di insegnamento del tedesco standard. L’altra colonna del nucleo (trinitario) di questa società fondata sulla sobrietà è la chiesa, teneramente e severamente grigio-giallastra, discosta dal piazzale, perché il vero centro di qualsiasi cosa è opaco e sacro. Il culto è celebrato in portoghese e in tedesco, a seconda dell’orario.

Foto © Marta Cai

Voglio tornare al terreno dove a pochi metri dal ruscello ho trovato il Quadrifoglio Unico. Mi sono allontanata dal gruppo con cui mi trovavo, ho osservato un cavallo dello stesso colore della chiesa, ho fatto attenzione alle torte di sterco, ho respirato, ho cercato e l’ho individuato. La quarta fogliolina è fondamentale per placare i malesseri.

La vita di questo signore che ci fa da anfitrione pudico ma orgoglioso, coincide con quella della colonia. Ci mostra, aggirando un cumulo di terra smossa, il grande gazebo circolare che sta costruendo da solo, un pezzetto al giorno, per ospitare più turisti e feste. La quarta fogliolina della colonia è il turismo. Per il sostentamento economico l’attività lattiero-casearia ha indicato e aperto il cammino, ma non è più sufficiente. Anziché chiudersi, per proteggere la propria identità e tutelare un certo vivere privo di contaminazioni, la Witmarsum ha fin dall’inizio commercializzato il proprio latte e a partire dal 2000 avviato il progetto caseario a cui si è affiancato successivamente quello della produzione brassicola. Si tratta di tentativi, finora ben riusciti, di contrasto all’erosione, all’esodo delle nuove generazioni verso le città e all’impossibilità di espandere i terreni per i pascoli o per produzioni agricole diversificate. La regione è assediata dalla coltura intensiva della soia, molto redditizia e problematica per diverse ragioni. La soluzione del turismo si è fatta strada in sordina e si è radicata senza prepotenza, evitando di rendere artificiale e posticcia l’atmosfera di questa deviazione dell’autostrada. Il turismo – e prima ancora i ragazzi e le ragazze che decidono di fare l’università o di trovare un lavoro altrove – porta inevitabilmente all’incontro con valori e stili di vita differenti, a cui la comunità tuttavia ha sempre mostrato, seppur con riserva, una certa dose di permeabilità, contemplando i matrimoni misti, con uomini o donne di altre religioni, purché condividano i valori del comunitarismo, della frugalità, del rigore morale.

Foto © Marta Cai

È una comunità conservatrice? Sì, estremamente: prima di arrivare al piazzale, si viene salutati da un cartello che a sua volta complimenta Bolsonaro e il suo slogan Deus, Pátria e Família, ma questa tendenza ha un’aria più di difesa che di attacco, almeno da quel che traspare dalle sedie nelle verande delle case coloniali, dalla distanza tra le abitazioni, dall’equilibrio fragile di un luogo in cui convivono palme e castagni, e anche dalle cesoie con cui Erich stacca una rosa per me prima di congedarci, alla fine del nostro primo incontro. Il successivo avviene durante la domenica del secondo turno elettorale: la colonia brulica di famiglie vestite con la maglietta della Seleção – solitamente composte da papà muscoloso, mamma vistosa, bambini con il cellulare – arrivate per pregustare un risultato che non ci sarà, a bordo di auto bardate di bandiere giallo-oro, le stesse che sono comparse praticamente nel giardino di ognuna di queste casette. Questa massa chiassosa contrasta con l’ambiente improntato a lavoro e modestia, benché la simpatia per una politica e una società fondate su generici, o presunti, valori cristiani sembri accomunarli. Il Brasile è una mescolanza di origini e direttrici che periodicamente cortocircuitano, generando ibridi paradossali che cerco di capire, ma non ancora di spiegare. Questa volta l’accoglienza è meno calorosa, a mio marito viene chiesto senza molti preamboli se è esquerdista. Lui risponde quel che pensa e spera di questa tornata elettorale, il signor Erich a sua volta spiega che il trauma del comunismo vissuto dai suoi genitori è per lui insuperabile. Il trauma parla una lingua transnazionale, praticamente impossibile da imparare e tradurre, una quarta fogliolina che spunta dove non dovrebbe spuntare, diventando amuleto per grandi bisogni di protezione. Sono abituata, e ormai ne sorrido, a generare sordità nelle orecchie maschili di queste zone rurali, dove mai sono interpellata, né ascoltata, ma provo timidamente a chiedergli, con rispetto, cosa ne pensa, lui mennonita e pacifista, di quest’uso ed elogio delle armi che sono ormai diventati la quarta fogliolina dopo le tre di Deus, Pátria e Família. Non posso saperlo, perché ci lascia e torna al suo lavoro, come se nessuno avesse parlato. Quale fortuna e a chi porterà il mio primo quadrifoglio brasiliano? Io spero a tutti, per un’improbabile simmetria.

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