Rivista di luoghi, storie e altro

Il parco olimpico di Komazawa

Ogni mattina la televisione pubblica giapponese NHK trasmette un breve programma di esercizi ginnici da fare in casa. Il programma si chiamaテレビ体操  (TV-taisō) e ha quasi un secolo di vita. È nato nel 1928 come programma radiofonico (Radio-taisō) dall’idea della classe dirigente di allora di diffondere in tutta la popolazione il piacere e la disciplina dell’educazione fisica. Oggi, in uno studio che sembra essersi fermato alle prime riprese  a colori della NHK, due ginnaste si cimentano in movimenti estremamente semplici ma efficaci al suono ritmato di un pianoforte a coda. Esercizi che tutti possono replicare da casa, anche i più anziani, tant’è che una ginnasta li esegue rimanendo seduta su una sedia.

Forse col tempo Radio-taisō ha perso popolarità, ma la cura del corpo è ancora importante per molti giapponesi. Tokyo è pervasa da palestre, centri yoga, pilates e stretching. Lo sport ha un ruolo centrale nelle scuole di ogni età, inclusi alcuni asili. Nei centri commerciali, appena prima dell’apertura al pubblico, una registrazione audio diffonde istruzioni simili per contenuto e stile a Radio-taisō, affinché i commessi si preparino al lungo turno che sta per cominciare. Ogni Comune che compone la città metropolitana di Tokyo gestisce uno o più centri sportivi messi a disposizione dei residenti. 

Lo sport è dunque un elemento fisiologico della capitale, forse in maniera molto più spiccata che in tante altre città del mondo. Per questo motivo Tokyo è sembrata il contesto ideale per ospitare le Olimpiadi 2020. Eppure l’umore dei giapponesi nei confronti dei Giochi, inizialmente positivo, è degenerato in indifferenza se non addirittura in profonda avversione con l’avvento del COVID. La pandemia ha mostrato all’opinione pubblica una classe politica debole, quasi inerme di fronte alla titanica macchina olimpica, una sorta di gigantesco mecha1 di cemento e acciaio, tenuto insieme da una fitta rete di contratti inscindibili con il CIO, gli sponsor, le società di costruzioni, le strutture turistiche… A Olimpiadi finite rimarranno le domande che si ripetono a ogni edizione: che cosa accadrà degli impianti e del villaggio? Il bisogno di sport dei cittadini saprà assorbire queste enormi nuove costruzioni?  Si tratta delle questioni chiave di ogni Olimpiade. Per molte altre città organizzatrici la risposta è stata negativa. Non è chiaro perché per Tokyo debba andare diversamente, ma un piccolo esempio positivo viene proprio da uno di quei centri sportivi gestiti dai municipi, forse il più bello: il parco olimpico di Komazawa, presso il comune di Setagaya.

Il parco olimpico di Komazawa (Foto © Stefano Marinoni)

Originariamente sede del Tokyo Golf Club, in un’epoca in cui tra i membri si annoverava l’Imperatore Hirohito, il parco fu designato come cuore delle Olimpiadi del 1940, poi cancellate per la Seconda guerra mondiale. Il progetto venne perciò messo in un cassetto e rispolverato per le Olimpiadi del 1964, sebbene a quel punto relegato ad un compito secondario, visto che nel frattempo l’evento si era ingrandito notevolmente ed era stato necessario dare priorità ad altri tre luoghi. Il primo era lo Stadio Olimpico, per decenni sede di numerose partite di calcio e rugby della Nazionale e da poco rimpiazzato da uno nuovo fatto apposta per le Olimpiadi 2020. Il secondo è il Nippon Budokan, dove oggi si organizzano i tornei di sumo e i concerti di band internazionali. Anche il terzo, cioè il meraviglioso Gymnasium di Yoyogi progettato da Kenzo Tange, è diventato nei decenni successivi luogo di eventi sportivi e spettacoli nonché parte integrante dello skyline di Shibuya. Assieme allo Stadio Olimpico è stato inoltre consacrato per sempre alla letteratura manga nelle tavole di Akira di Katsuhiro Otomo Nel fumetto del 1982, in una distopia futura dove le Olimpiadi di Tokyo del 2020 sono state cancellate (preveggenza!), il Gymnasium è convertito in monastero da una sacerdotessa con poteri psichici mentre lo Stadio diventa il nascondiglio della più grande minaccia per l’umanità.

Le tre grandi strutture architettoniche simbolo dei Giochi del ’64 hanno un elemento chiave in comune: sono tutti luoghi dove i cittadini non vanno oltre il ruolo di spettatori. Al contrario, il parco olimpico di Komazawa è stato silenziosamente assorbito dalla comunità di Setagaya e oggi chiunque, in qualsiasi momento e quasi gratuitamente, può praticarvi sport in libertà.

Lo spazio occupato è notevole, più di 40 ettari in pieno centro. Visto dall’alto sembra una di quelle cellule ovoidali che al microscopio mostrano piccole e grandi macchioline colorate, gli organelli necessari al suo funzionamento. In questo caso si tratta di palestre e campi sportivi connessi da una fitta rete neuronale di stradine immerse in un ricco bosco di pini, ciliegi, e altri splendidi alberi. Ad avvolgere e compattare tutto ciò è un percorso ad anello lungo più di due chilometri che segue il perimetro del parco. Ad un certo punto viene tagliato orribilmente in due da uno stradone a tre corsie per senso di marcia particolarmente trafficato, ma il trauma è stato egregiamente superato permettendo al percorso di attraversare il viale da una parte con un largo cavalcavia e dall’altra con un sottopassaggio. 

Foto © Stefano Marinoni

Entrando dall’ingresso a nord lo si incontra subito. È largo, un bel viale asfaltato con tre corsie dipinte: una per chi vuole passeggiare, una per i runner e una per i ciclisti. Oggi la giornata è uggiosa, esemplare della quinta stagione giapponese, quella delle piogge. Il tempo sembra aver deciso di regalare una domenica di tregua, ma il cielo completamente coperto non sembra poter offrire alcuna garanzia e per terra i segni degli acquazzoni sono ben visibili.

Si sentono delle grida provenire al di là di una siepe. È in corso una partita di calcio tra le squadre di due licei. Non deve essere una partita particolarmente sentita, o più probabilmente è a causa del COVID, perché non ci sono tifosi sugli spalti. Prima della pandemia avevo assistito ad una partita di lacrosse nello stesso campo e quella volta tantissimi studenti delle due scuole avversarie si erano presentati, tutti vestiti con i colori di appartenenza, con le cheerleaders e i capi-ultrà (rumorosi, ma estremamente educati). Questa volta, i giocatori dovranno farne a meno. Si radunano sullo spiazzo ai bordi del campo e cominciano uno stretching leggero, guardando sottecchi gli avversari fare la stessa cosa qualche metro più in là. Poco più avanti anche una coppia di genitori si cimenta in piegamenti, rivolti verso il passeggino per capire se è necessario un cambio.

Foto © Stefano Marinoni

Lo sport è praticato a tutte le età, e infatti accanto ai campi da calcio c’è un largo spiazzo asfaltato, con una grande corsia circolare dipinta di blu. È qui che le mamme e i papà portano i figli ad imparare ad andare in bici, c’è perfino un piccolo baracchino dove dei volontari le affittano. Un altro luogo dedicato ai più piccoli è il parco giochi, dove oltre ai dondoli e alle altalene è stata costruita una lunga parete obliqua lungo la quale arrampicarsi. Il piano però è particolarmente inclinato ed estremamente liscio. Quando non raggiungono la cima i bambini – che in certi casi sembrano aver imparato a camminare l’altro ieri – scivolano giù, dove li attende l’impatto poco piacevole con la sabbia resa fanghiglia dalla pioggia. A volte cascano piuttosto malamente, di testa o di sedere, sotto lo sguardo pacifico dei genitori. Se l’urto è proprio duro un adulto si avvicina al figlioletto e gli dice: “Daijobu” (“Tutto bene”), che non si capisce se sia una domanda o un’affermazione consolatoria. Il bambino lo guarda circospetto, fa un bel respiro e torna ad arrampicarsi.

Dopo la pista per i neo-ciclisti, proseguendo verso sud, si intravede un po’ nascosto dagli alberi un edificio tondo dal tetto largo e appuntito. La corsia dei runner devia improvvisamente verso il centro del parco e sale per duecento metri, sempre costeggiando le mura rotonde, fino a che compare il grande piazzale che è il cuore del parco olimpico. È un lunghissimo rettangolo pavimentato da lastre di granito bianche e nere allineate in un pattern geometrico. In mezzo non c’è nulla e lo spazio che sembra sconfinato trova un limite nelle tre grandi creature marine che sembrano farvi da guardia. A guardare bene la loro forma, infatti sembra di trovarsi sul fondale dell’oceano. Alla sinistra c’è il palazzo largo dal tetto appuntito, che ora sembra essere schiacciato dall’enorme armatura tanto da sembrare un grosso granchio dormiente: è la palestra che nel 1964 ospitò gli incontri di lotta. Da allora è diventato luogo di sfide di ogni genere, meno fisiche e più leggiadre, come gli juniores di badminton e una fantastica competizione senior (molto senior) di valzer, foxtrot e salsa. Di fronte, alla destra della piazza, domina invece una lunga schiera di denti ondulati come le valve di una gigantesca vongola tridacna. All’interno si nasconde lo Stadio Olimpico. Anche se all’epoca venne usato solo per qualche partita dei gironi di calcio (incluso un fantascientifico pareggio tra Brasile ed Emirati Arabi Uniti, 1-1), adesso anche la sua pista d’atletica è pienamente sfruttata nella realtà come nella finzione, visto che fa da scenario d’apertura al terrificante anime Japan Sinks di Masaaki Yuasa.

Foto © Stefano Marinoni

In fondo alla piazza infine il simbolo del parco: la grande torre di controllo che emerge da una vasca d’acqua e svetta come un corallo bianco. Tralasciando la personale visione marina è evidente il richiamo alla pagoda dei templi buddisti, ripulita dei decori così da lasciare visibile lo scheletro nudo, dove è il cemento puro anziché il legno a formare un gioco di incastri che sale per 50 metri. La sua funzione era prettamente pratica, accentrando la distribuzione delle telecomunicazioni, dell’elettricità dell’acqua. Ai suoi piedi bruciava una delle fiamme olimpiche. Oggi il braciere è spento e delle papere vi riposano ai bordi. La torre non trasmette più nulla e guarda silenziosa quello che avviene nella piazza sottostante. È un brulicare di persone di ogni età che ritagliano per sé un pezzetto di spazio. Un atleta ha allineato dei paletti e li scavalca di corsa allenando scatto e agilità. Tre amici giochicchiano a baseball. Una ragazza si esercita a  sventolare un bandierone grande come il tendone di un circo in preparazione a qualche matsuri2. Un signore, che deve aver assistito di persona alle Olimpiadi del 1964, sale e scende di corsa degli scalini con tanta forza fisica quanto mentale.

L’ultimo lato della piazza è un’ampia e ripida scalinata che scende dove il parco è tagliato dallo stradone trafficato. Oltre, una scalinata gemella riprende quota e porta allo Stadio Indoor che vide la vittoria olimpica della leggendaria squadra di pallavolo femminile nipponica. Le due gradinate sono il territorio dell’underground atletico. Adolescenti e universitari si sfidano basket, si sfogano con lanci forti e precisi con la palla da baseball o semplicemente cazzeggiano fumando sigarette elettroniche. In molti provano coreografie immancabilmente ripresi da un telefono fissato ad un cavalletto a favore di qualche social network. Una ragazza si esibisce in diretta streaming in passi di breakdance mentre salta due corde fatte ruotare da due amici. Intanto un ragazzo sotto il cavalcavia ha deciso di coprire il rumore del traffico esercitandosi col sassofono.

Foto © Stefano Marinoni

Se si alza lo sguardo si vede da una parte la Torre fare capolino, dall’altra gli archi dello Stadio Indoor, attorno al quale si sviluppa la seconda metà della Cellula-Parco con altre decine di campi sportivi di vario genere. Ogni singolo metro quadro è programmato affinché qualcuno venga a reclamarlo per sé, per pochi minuti o qualche ora, e vi faccia ciò che lo fa sentire bene, al chiuso o all’aperto. Il rapporto con Setagaya, il comune che conta più abitanti dell’area metropolitana di Tokyo (quasi un milione), è del tutto simbiotico. Il parco si prende cura dei cittadini e i cittadini si prendono cura del parco. Succederà lo stesso alle strutture costruite apposta per le nuove Olimpiadi?

1 Robot tipici dei fumetti e cartoni di fantascienza giapponese, quasi sempre di dimensioni mastodontiche. 

2 Sagra di quartiere o di paese, dove spesso vengono organizzati cortei di danze tradizionali.

Condividi